Il 1 luglio 1961 muore a Meudon a causa di un aneurisma cerebrale il dottore e scrittore Louis Ferdinand Destouches, noto con lo pseudonimo di Céline, il nome della nonna.
Ha appena finito di scrivere il terzo libro della cosiddetta Trilogia del Nord, Rigodon.
Ma il capolavoro che l’ha reso famoso in tutto il mondo sollevando un vespaio di polemiche e reazioni è Viaggio al termine della notte. Storia autobiografica e romanzata, scritta con una prosa anarchica e selvaggia dall’inizio alla fine, che trascende ogni regola e segue un sottile filo di ironia e disperazione al tempo stesso, è il superbo grido di un disadattato in un mondo di disadattati, dove niente e nessuno si salva, luoghi, militari, clero, medici, borghesi, popolo.
Per scrivere in quel modo a un’età ancora giovane (il romanzo è del 1932, Céline ha trentotto anni) significa che la vita ti brucia dentro, ti macera nelle budella, non ti basta mai. Significa essere condannato a non fermarti, a cercarla, a non riconoscerla e a proseguire, fra gli scampoli della notte, fra periferie fangose devastate dall’industrializzazione, campagne angoscianti, città troppo sole, foreste bruciate, sapendo che non c’è niente da trovare. Che rimarrai comunque deluso ma che comunque devi proseguire, provare, perché altro non c’è da fare se non vuoi impazzire, se non vuoi che l’esistenza, qualsiasi cosa significhi, con le sue possibilità infinite e sprecate, ti imploda dentro.

Celine giovane
Scriverà anche Morte a credito e altri romanzi ma il capolavoro rimane il Viaggio.
Succede però che fra il 1937 e il 1941 pubblichi tre pamphlet dal contenuto esplicitamente antisemita e che essi non vengano digeriti da una buona parte della Francia. Schifato dai compatrioti, al termine del secondo conflitto mondiale Céline deve espatriare.
Sartre contribuisce ad affossare la sua già precaria fama pubblicando nel dicembre del 1945 su Tempi Moderni una durissima condanna con l’articolo Ritratto di un antisemita, in cui dichiara che “Céline si è venduto ai nazisti”.
Céline non è nazista né si è venduto. Significherebbe rientrare in una categoria politica; è un anarcoide nichilista, dal pensiero incontrollabile e imprendibile, che arriva a elaborare sogni razziali deliranti ed esasperati. I primi due lavori, Bagatelle per un massacro e La scuola dei cadaveri sono del 1937 e del 1938, l’invasione nazista della Francia parte nel maggio del 1940. Céline pare convinto che nessuno dei paesi fascisti darà l’inizio alla guerra. “Ho creduto al pacifismo hitleriano e qui finiscono i miei peccati” dirà in un’intervista anni dopo. Uno scrittore non è un politologo e arrivare a pensare che abbia realizzato certi scritti in previsione di una futura invasione significa credere a una lucidità che mal si addice al folle uomo che è stato.
Alla fine del conflitto si rifugerà in Danimarca, verrà arrestato e liberato; là vivrà sei anni.
Guardo alcune fotografie. Ci sono certi volti che esprimono quasi perfettamente l’anima che li indossa; basta fissare un primo piano di Céline per vederci un fuoco che ti manda avanti e ti distrugge. E’ anche un medico che cura i poveri senza ricavarci quasi niente, per curiosità scientifica e curiosità verso un mondo emarginato.

Cèline colori
Tornato in Francia nel 1951, dopo un’amnistia e una confisca dei beni, subirà l’ostruzionismo e l’esclusione da parte della società nel tentativo riuscito di tagliarlo fuori da ogni dibattito, di emarginarlo.
Sono storie note. Ma cosa può aver scritto per meritare un odio così feroce?
I suoi scritti sono esagerati, dall’inizio alla fine, volutamente. Cèline sembra, nella sua follia, saper benissimo che sta lanciando bombe a parole nel momento e in uno dei posti più sbagliati che ci siano, forse ha anche la consapevolezza che si sta letteralmente suicidando.
Pare ossessionato dagli ebrei fino a sfiorare il delirio.
Gli ebrei sono il potere, li vede ovunque. Sono i critici che lo distruggono. Sono gli impresari che gli negano la possibilità di portare in teatro i suoi strani sogni. Sono gli artisti che hanno monopolizzato la scena culturale francese. Sono i colpevoli della follia comunista sovietica, perché il nostro ne ha anche per Stalin e i russi, dopo un viaggio compiuto a sue spese in Unione Sovietica. Sono viscidi seduttori di donne, sono la borghesia causa della schiavitù dell’umanità.
E’ una folle caccia al colpevole per un mondo disperato – come se ci fosse davvero qualcuno, oltre l’uomo in generale, ad esserlo – che sconfina nel delirio più puro. Questo, avendo letto il Viaggio è molto strano.
Gli orrori successivi faranno diventare l’argomento ebraico un tabù. Bisognerebbe però calarsi nel clima del tempo. Céline esprime, con una prosa troppo edulcorata, generalizzando, concetti che qualcuno, scrittori e non, in parte condivide seppur più velatamente.
La notte dei cristalli accade fra il 9 e il 10 novembre 1938 e scrivere in Bagatelle per un massacro (1937) cose tipo: “Sono dei vampiri! dei porci incredibili, bisogna rispedirli da Hitler! in Palestina! in Polonia! Ci fanno un danno immenso! Non possiamo più tenerli qui!…” oppure “L’Ebreo è dittatore nell’animo, venticinque volte Mussolini. La democrazia ovunque e sempre non è mai altro che il paravento della dittatura ebrea.” per tacer del resto, non è il massimo come tempismo.
I primi due pamphlet vendono tantissimo, sollevano un vespaio di polemiche. Céline diventerà il nemico accusato di collaborazionismo; il terzo La bella rogna, 1941, circolerà solo nel regime di Vichy.
Tornato in Francia compra una casa a dieci chilometri da Parigi, là si rinchiude, ormai lontano da tutto, fra libri, gatti, cani, un pappagallo, assomigliando sempre di più a un barbone. Non esce quasi mai, scrive gli ultimi libri sempre più confusionari, rilascia interviste di tanto in tanto che destano sempre scalpore, ormai è condannato a essere uno straniero reietto ovunque.
La sua morte viene tenuta nascosta tre giorni; sarebbe l’ora davanti alla fine non dico di riabilitarlo, ma di far partire una discussione seria sul valore delle sue opere letterarie, anche cercare di capire il perché di certe idee, oltre ogni semplicistica accusa di mercenarismo, ma la sua morte ha un tempismo decisamente sbagliato.
Succede che qualche ora dopo, la mattina di domenica 2 luglio 1961, il premio Nobel Ernest Hemingway decida di far la fine di suo padre: prende un fucile e se lo scarica in bocca. Per giorni i giornali si occupano della fine di quello che è stato un mito anche in vita, che con Céline aveva in comune la smania di vita e di avventura. Il 5 luglio 1961 in Italia, La Stampa pubblica un riduttivo articolo sulla fine de “l’anarchico che predicò il razzismo”. Si può discutere su tutto, ma scrivere a proposito del Viaggio che “i suoi romanzi ebbero un successo fugace, sono un insieme di oscenità, odio, scetticismo e antisemitismo rabbioso” è uno sputo sulla letteratura, è un insulto semplicistico a un’opera immortale.

Céline La StampaOggi, cinquantacinque anni dopo l’inizio di quelle maledette più o meno ventiquattr’ore, Hemingway è ancora un mito globale, forse anche per chi non ha mai letto una sua parola, al dottor Céline i posteri hanno reso il giusto merito per uno dei capolavori della letteratura del novecento e hanno preferito dimenticare il resto, anche perché di difficile lettura.
Restano domande eterne a macerare: quanto val la pena farsi distruggere per delle idee, violente, pretenziose e disordinate? Quale vertigine può spingere un genio discusso e anche per questo riconosciuto a calcare la mano oltre il limite: un’ansia autolesionista, un razzismo esasperato fino alla paranoia o il tentativo estremista e personale di svegliare animi ritenuti soggiogati in un mondo in cui la catastrofe è di nuovo imminente?

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