Dunque, Castore e Polluce (Castor e Pollux) sono i protagonisti della nostra storia. Per raccontarli però partiremo da un’immagine nella quale i due gemelli non compaiono ancora. Già, perché i Dioscuri sono legati necessariamente ad un altro grandioso mito greco: quello di Leda e il cigno.

Leda era la bellissima regina di Sparta, moglie di Tindaro, di cui Zeus ovviamente si innamorò. Un giorno, mentre Leda dormiva sulla sponda di un laghetto, il re degli dei si avvicinò a lei sotto forma di candido cigno, spandendo attorno alla bella addormentata un intenso ed inebriante profumo di ambrosia e accarezzando la giovane col suo collo sinuoso lentamente per tutto il nudo corpo. Appena Leda si svegliò Zeus le rivelò la sua identità e le disse che da quell’unione sarebbero nati due gemelli: Castore abile domatore di cavalli e Polluce imbattibile pugile, e che entrambi sarebbero stati a difesa del paese e alla guida dei marinai.

È un mito che ci accompagna sin dai tempi più antichi e che tutt’oggi fa parlare di sé. Era solamente lo scorso Novembre quando a Pompei gli archeologi riportarono alla luce Leda e il cigno dalle mura della misteriosa “Casa del giardino incantato”.

Pittori e scultori nei secoli hanno largamente raffigurato questo mito. Dunque la domanda sorge spontanea: come mai questo successo iconografico?

Era la rappresentazione dell’emblema della potenza sessuale, la forza della seduzione, la tensione che vige tra amore e violenza. La trasformazione in cigno è l’inganno con il quale Zeus ottiene ciò che desidera: la seduzione della regina. Il re degli dei è riuscito nel suo intento mascherandosi in un candido ed insospettabile animale e la donna è rimasta vittima di una crudeltà nascosta. Ma se per alcuni questa è una lettura troppo moderna e femminista della lunga storia di Leda, c’è al contempo chi continua e giustifica il successo del mito come “comodo”, soprattutto nel periodo della Controriforma (1545-1563), agli artisti per poter continuare a raffigurare scene di sesso, ma in un modo inusuale, quasi fiabesco e di certo estremamente erotico. Quasi a voler rappresentare il desiderio più recondito di ognuno di noi. Se nudi e accoppiamenti non erano più permessi, o non ben visti (o peggio non comprati!), con questa storia tra un affascinante animale e la bella regina di Sparta di sicuro si poteva trovare un compromesso, e un compratore.

Ma la storia è folle e quindi capita che proprio con questa iconografia l’imbattibile Michelangelo abbia trovato il suo più grande insuccesso. Racconta il Vasari nelle sue Vite che nel 1530 Alfonso d’Este commissiona al Buonarroti una Leda e il cigno. Tuttavia al momento della consegna il delegato del Duca definì l’opera “poca cosa”, così che Michelangelo si rifiutò proprio di consegnarla e da quel momento sarà smarrita. Fonti certe la fanno rinvenire alla corte di Francesco I a Fontainbleu, e malelingue la fanno bruciare da Luigi XII perché ritenuta amorale! Dal settecento comunque non ne abbiamo più notizie, ma fortunatamente il Rosso Fiorentino (eccellente pittore manierista) la copiò ed è esposta alla National Gallery. Ma che ne sapeva il delegato!

Leonardo ci lascia un disegno preparatorio che poi avrà nove (9!!) copie in giro per tutto il mondo, Correggio, Tintoretto, Pontormo sono solo alcuni padri delle tante Leda sparse per il mondo. Io ve ne propongo solo un’altra, quella di Francois Boucher del 1742 in pieno gusto Rococò, l’espressione più lambiccata del Barocco. Ma che curioso quel cigno, eh?

Tornando al mito sappiamo che, il giorno dopo, Leda partorisce due uova. Ognuna con due gemelli all’interno, un maschio e una femmina. Polluce e Elena (la famosa Elena di Troia) e Castore e Clitennestra (futura moglie di Agamennone). I primi immortali i secondi mortali. Dei ed umani. Leda la stessa notte si era unita con suo marito Tindaro, ed erano così nate due uova con gemelli misti.

I gemelli, proprio come aveva predetto Zeus, saranno eroi spartani per eccellenza. Parteciperanno a molte famose imprese, tra cui la spedizione degli Argonauti alla conquista del Vello d’Oro, il Rapimento delle figlie di Leucippo e la lunga lotta con i figli di Afareo: i fratelli Idas e Linceo. Durante questo scontro però Castore venne ferito mortalmente dalla lancia di Idas.

Pur di non separarsi dal fratello Polluce implorò Zeus di far morire anche lui, o di dare l’immortalità a Castore. Zeus permise ai due di vivere e morire un giorno per ciascuno trasformati nella costellazione dei Gemelli, nella quale una delle stelle principali si nasconde sotto l’orizzonte quando appare l’altra, ricordando perennemente il destino che unisce i due fratelli.

I Dioscuri erano considerati protettori di quanti, sul campo di battaglia o in mare, si trovassero in grave pericolo. Sia greci che romani considerarono i due gemelli come veri e propri soccorritori e protettori degli uomini in difficoltà. I due eroi sono molto legati e appaiono sempre insieme nelle loro avventure, la loro unione era scevra di rivalità, al contrario di tutti gli altri miti, rappresentando in questo senso l’affetto più forte e sincero tra fratelli.

E nell’arte dove li troviamo?

Una coppia di gemelli così importanti non poteva non trovare un suo rifugio a Pompei. La soprannominata “Casa dei Dioscuri” è una delle abitazioni più vaste e decorate della città, pullulante di raffinati affreschi riguardanti la storia dei due, questo che vi propongo è all’ingresso, a darci il benvenuto.

Ma andiamo a Roma, in Piazza del Campidoglio. In cima alla scalinata realizzata da Michelangelo per Papa Paolo III Farnese (lo stesso che gli commissiona il Giudizio Universale nella Cappella Sistina) possiamo ammirare due colossali statue dei gemelli scoperte nel 1560 in zona Circo Flaminio, probabilmente appartenenti ad un tempio a loro dedicato. Si tratta di copie romane di originali greci del V secolo a.C.

La seconda immagine è un dettagliatissimo disegno del parigino Etienne DuPérac che se ne va a studiare a Roma le opere del contemporaneo Buonarroti e ci lascia questa bella testimonianza dell’opera urbanistica del genio fiorentino, completa di Dioscuri.

Dal Campidoglio al Quirinale il passo è breve. Anche qui possiamo ammirare una copia romana da un originale greco dei gemelli. Attenzione, non un’opera qualsiasi, i gemelli sono firmati “Opus Phidiae” e “Opus Praxitelis” ossia Fidia e Prassitele il Vecchio, i due più grandi scultori greci a cavallo tra età classica ed ellenistica. Mappe di Roma di fine Quattrocento posizionano i Dioscuri in un altro luogo della città ma sappiamo che Papa Sisto V, nella seconda metà del Cinquecento, decise di valorizzarle e sistemarle nella piazza del Quirinale. Ad opera conclusa i due Dioscuri erano i protagonisti di una stimatissima fontana marmorea. Rimase tutto così per due secoli quando, alla fine del Settecento, Papa Pio VI decise di innalzare un obelisco in mezzo ai due gemelli e cambiare la fontana con una vasca per abbeverare il bestiame. Un aneddoto tutto romano ci dice che per qualche giorno, sul piedistallo della statua attribuita a Fidia, la scritta sia stata cambiata con “Opus Perfidiae Pii Sexti”!

Spostandoci più a nord troviamo una rappresentazione dei Dioscuri a Torino alla protezione di Palazzo Reale. Insolita scelta. Non ci spieghiamo esattamente perché a Torino, città non marittima, Castore e Polluce siano stati scelti come guardie della monumentale cancellata di Pelagio Palagi. Correva l’anno 1811 quando il seicentesco “Pavaglione” in legno prese fuoco. Ci vollero venti anni e diversi faraonici progetti per trovare un degno sostituto dell’ormai bruciato separé tra la Piazzetta Reale e Piazza Castello. Il progetto vincente fu proprio quello del Palagi che, costruendo la cancellata in ghisa e concentrando l’attenzione sui due pilastri centrali col gruppo dei Dioscuri, ebbe l’approvazione del Re Carlo Alberto (sappiamo da documenti che l’artista riuscì a proporre un progetto davvero poco costoso, e a Casa Savoia piaceva davvero tanto risparmiare!). Fu poi lo scultore Abbondio Sangiorgio a tradurre i disegni in modelli in gesso che daranno poi vita ai bronzi “a simbolica protezione del Palazzo Reale e della dinastia sabauda, che in quegli anni fra le molte fazioni avverse si appresta ad unire l’Italia sotto la sua egida”, scriverà SAR. È vero che siamo a Torino ed che non siamo abituati ai Dioscuri, ma sia Pelagio Palagi che il Sangiorgio avevano studiato e ammirato Roma, sia al Campidoglio che al Quirinale. Nulla è mai a caso.

L’ultima opera che vorrei proporre è pittorica ed è nata dalla mano di Peter Paul Rubens nel 1617, custodita all’Alte Pinakothek di Monaco. Nella tela di Rubens i due giovani hanno arrestato la corsa con i cavalli e sono in procinto di afferrare e rapire le figlie di Leucippo. Malgrado il ritmo vorticoso dell’azione non sembra che le giovani oppongano resistenza al rapimento dei due. Gli sguardi dei due uomini sembrano quelli di due innamorati, piuttosto che feroci e violenti di due comuni rapitori. L’atmosfera è giocosamente erotica e quell’amorino tutto a sinistra sembra volerlo confermare con aria complice. In più è da ammirare il sensuale contrasto cromatico tra le carni delle fanciulle nordiche e il colorito bruno dorato di Castore e Polluce. Indovinate? La critica ha riconosciuto che il pittore si ispirò alla Leda di Michelangelo, che chissà se Rubens ha avuto la fortuna di vedere in originale o in copia del Rosso Fiorentino. Ammettiamolo, nemmeno la sua più grande sfortuna passò inosservata.

In copertina: i Dioscuri di Giorgio de Chirico e Alberto Savinio, pittori surrealisti, fratelli. 1924 circa.

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