Una volta passeggiavamo con H lungo il Canale di Caterina (Jekaterininskij kanal) in quell’angolo di Kolomna dove antichi pioppi pigramente manovrano con le radici i lastrici rossastri di granito. Di nuovo era giugno. Due scolari davanti a noi incendiavano i cumuli di lanugine di pioppo formati dal vento. Parlando delle difficoltà del procurarsi dei materiali H menzionò il durian. Non sapevamo cosa fosse. H ci spiegò che durian era un frutto aromatico grosso quanto un ananas, se non di più, che cresce in Malaysia. Come un antico sauro è carico di duri spini di forma conica, perciò lo raccolgono ancora acerbo, siccome la sua caduta può misurarsi con un colpo inflitto da una mazza ferrata e può comportare gravi lesioni al giardiniere. L’interno del frutto è pieno di una dolce e speziata polpa simile ad una crema, ma quanto è stupendo il sapore, tanto l’odore è disgustoso senza pari – un’idea vaga di quel fetore può dare un misto tra le cipolle marce e l’idrogeno solforato. Grazie alla menzionata proprietà il consumo di durian in buona società è proibito – ai ristoranti e nei negozi ci sono aree assegnate alla vendita e consumo del frutto. Trasporto di durian sui mezzi pubblici è severamente vietato. Chiedemmo a H di levarci la curiosità, perché a H interessava quella puzzola botanica? Rispose che ci sono testimonianze che un uomo avendo assaggiato durian, grazie al suo sapore divino e il fetore infernale, smette di guardare le donne. “Quindi?”- chiedemmo noi. “Probabilmente nulla, rispose H. – Ma anche se in questo caso non si tratta di uno sviluppo ma di una degenerazione, è lo stesso un’informazione sullo sviluppo, così potremo dire che cosa non è sviluppo”.
Il nostro compito di saggista si aggrava dal fatto che H, come qualsiasi maestro eccezionale, sfuggiva le conversazioni sull’oggetto e l’obiettivo delle sue indagini, – poteva discorrere a lungo sugli aromi e incensi, ma non diceva mai cosa ne voleva trarre. Non siamo mai stati in casa sua. Ci resta solo supporre a che risultato concreto era giunto su ogni tappa del suo lavoro. Una di queste congetture, condizionata comunque dalla logica propria di H, è quella sul tentativo di suscitare con l’odore una massima sensualità e sotto un’estrema tensione non lasciarle un’altra soluzione tranne la tramutazione.
H faceva cose del genere nel tempo libero, così la sua arte poteva sfuggire la sorte di una merce, al lavoro inventava nuove acque di Colonia, profumi e lozioni, immancabilmente di eccellente qualità, che da all’amore l’aroma e la ricercatezza, ma privi di quel compito supremo, potenza di spirito e grandiosità di gesto – lo slancio verso la beatitudine si percepiva appena. Ecco la pubblicità di un profumo da uomo (H elaborò il contenuto del flacone di una forma bizzarra): “L’aroma è costituito a base di essenze di rare e preziose bacche, legni, foglie e steli di alberi esotici che gli donano una sfumatura acuta e mascolina. Una leggera aggiunta floreale fa il bouquet armonioso, e solo in un attimo in cui si introduce si sente un soffio fresco di gelsomino d’India, cardamomo e lavanda alpina, seguite da una tonalità amarognola di noce moscata. Nel cuore si sentono le note ben percepibili di steli di rosa e di geranio, rafforzate da cannella. In conclusione a questo misto aromatico è aggiunto un tono freddo e ricercatamente severo di pasciulì e di fogli di quercia”.
– Ma se un profumo femminile al muschio finirà nel cuore di un uomo, succede che egli come un rimedio cerca la morte e non la trova.
– Qui cela il segreto della profonda malinconia delle più vivi sensazioni sessuali. Ci si nasconde un sapore d’autunno, di qualcosa che va scemando, di qualcosa che è destinato a morire, aprendo la strada a qualcosa d’altro.
– Appena percependo il suo alito aromatico, sentì che tutti i desideri della sua anima si erano dolcemente spenti.
– Se a qualcuno riesce la trasmutazione, a forza di questo fatto egli quasi immediatamente abbandona il nostro campo visivo e scompare per noi.
– Durante i suoi incontri amorosi con Xiangfeng loro fumavano ognuno una pipa d’oppio, perché esso uccide il senso del tempo. Il piacere che dura solo pochi minuti sembra durare ore sotto il suo influsso. Verso la vecchiaia l’imperatrice fumava l’oppio ormai tre volte al giorno, questo fatto conferma il romanzo di Xiu Xiao-tang, in cui gli eunuchi invitano l’imperatrice a gustare la crema “di felicità e longevità”.
– L’amore e il sesso sono soltanto la pregustazione dello stato mistico, e certamente la pregustazione scompare quando appare ciò che stavamo aspettando.
Il profumo dei cieli, di quelle sfere divine, dove gli immortali inalano gli incensi dagli altari e si ungono con l’ambrosia – ecco che cosa immutabilmente interessava H sul livello simbolico ed insieme serviva da nervo-faro, che segnala la deviazione del percorso del sapere, al quale H era devoto in una maniera straordinaria, se non sovrannaturale. Con il passare del tempo H sprofondava ancor di più nelle sue ricerche minuziose, chiudendosi dalle vane frequentazioni, dalle vacuità aggressive che risucchiano, in una corazza protettiva dell’aspirazione all’ideale, di una sorta di estetismo, il quale recideva tutto ciò che non era collegato con la meta finale o intermedia del suo cammino.
Sarebbe stato assolutamente sbagliato supporre che H stesse cercando qualcosa di nuovo. Una largamente radicata opinione, sfacciata e autocompiacente, come se qualsiasi idea, qualsiasi fenomeno – dalla religione all’astronomia – all’inizio sorgesse in una forma primitiva come un più semplice adattamento alle condizioni dell’ambiente, come istinti oscuri e selvaggi, come una paura o un ricordo di qualcosa ancora più oscuro e grezzo, e solo dopo si sviluppasse gradualmente, diventasse più raffinato per avvicinarsi ad una forma ideale, era indubbiamente inaccettabile per H. È più probabile che H si muoveva a ritroso, essendo convinto che la stragrande maggioranza delle idee contemporanee fossero prodotto non di un progresso, ma di una degenerazione dei saperi una volta esistiti in forme più elevate, pure e perfette. Non a caso nel quaderno di H è presente un’affermazione consona di D. Galkovskij: “L’uomo proviene non dalla scimmia affatto. Egli proviene da un superuomo”.
Dopo aver menzionato la corazza vorremmo spiegare che cosa intendiamo. L’azienda di profumeria occupava H per 3 anni, probabilmente aveva esaurito la versione riportata sopra, e il lavoro gli divenne di peso in quanto non collegato direttamente con susseguente risvolto della sua impresa aromatica. Da quanto sappiamo H non cercava un altro impiego. Probabilmente H diligentemente lavorava a casa – tutti i suoi conoscenti sostengono che se si tralasciano gli incontri casuali per strada o in sala lettura di una biblioteca, non lo avevano più visto dopo il suo abbandono del servizio per l’”Aurora boreale”. A parte la consapevole solitudine, H aveva acquisito supplementari misure di sicurezza. Come avevamo menzionato sopra, i temi che non riguardavano la sua passione principale lo lasciavano indifferente, oltre a ciò tra i temi riconosciuti lui apertamente evitava quelli che potevano condurre alla base o al senso finale di quella passione. Tale selettività già da sé restringeva considerevolmente la cerchia di persone a cui H poteva risultare interessante come interlocutore. H aveva introdotto nel suo vocabolario una schiera ausiliare di parole – vichingo, del tutto facoltative. Il suo lessico divenne ancora piu’ complicato, ancor più saturo di termini rari, che creò una situazione in cui egli capiva tutti mentre nessuno capiva lui. Siamo propensi a vedere in tutto questo una ricerca di parola d’ordine. Tale desiderio poteva fare e faceva sì che le persone che non capivano il codice, il quale significava un certo grado di iniziazione nel problema di H, per primi interrompevano la conversazione e non pretendevano mantenere i rapporti.
L’accenno al codice ci sembra significativo perché ciò testimonia un alto grado di ermeticità di H e serve da giustificazione per il dialogo con H riportato sotto. L’ultimo. Più precisamente si tratta di un monologo. Se qualcosa rimane oscuro, la colpa è della nostra sordità terminologica, della conoscenza insufficiente del linguaggio originale. (Traduzione di Xenia Skiliar) Pavel Vasiljevič Krusanov è nato nel 1961 a Leningrado. Ha trascorso una parte dell’infanzia in Egitto dove suo padre lavorava alla costruzione della diga di Assuan. Si è laureato in Geografia e Biologia all’Istituto Pedagogico Herzen di Leningrado. Nei primi anni ’80 ha partecipato alle attività dell’underground musicale con il gruppo Absatz. Negli stessi anni collaborava con la rivista non ufficiale “Gastronomičeskaja subbota” (“Il sabato gastronomico”). Ha lavorato come tecnico delle luci per un teatro dei burattini, giardiniere, tecnico di sala di registrazione, ingegnere nel settore pubblicitario, tecnico della stampa offset. Dal 1989 è stato redattore per varie case editrici (“Vasiljevskij ostrov”, “Triton”, “Severo-zapad”, “Azbuka”, “Limbus press”, “Amfora”), nello stesso anno sono stati pubblicati i suoi primi testi nelle riviste ufficiali. Nel 1990 esce il primo libro “Gde venku ne leč’” (“Dove non si metterà la ghirlanda”) nel quale si percepisce l’influenza di Faulkner, lo stesso testo, rielaborato, esce nel 2001 sotto il titolo “Noč’ vnutri” (“Notte dentro”). Dall’inizio degli anni 90 la maniera di Krusanov si trasforma più volte, prima verso sofisticate costruzioni postmoderniste con “Znaki otličija” (“Segni di riconoscimento”) 1995, più tardi verso il realismo alternativo e il cosiddetto “romanzo dell’impero”. Negli anni 1996-97 affascinato dalla tradizione epica dei popoli finnici Krusanov crea un romanzo epico “Runopevec” (“Cantore delle rune”) a base del corpus della “Kalevala” raccolto da Elias Lönnrot. Hanno seguito “Il morso dell’angelo” (2001), “Bom bom” (2002, bestseller nazionale nel 2003), “Il buco americano” (2005).

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