Ogni luogo ha i suoi giochi popolari minori, non ufficiali, che cambiano nel tempo.
Dalle nostre parti si usa piazzare transenne a caso per la città, rubarci le biciclette o suonare il clacson ai semafori rossi sperando che siano dotati di udito.
Ce n’è un altro molto particolare che mi ha sempre lasciato abbastanza stranito; non ha un nome definito, è un ibrido fra un guardie e ladri più limitato, un rudimentale rugby ed una specie di gioco della bandierina. Le partite si svolgono solitamente nelle strade del centro, in mezzo ad una folla di turisti ignari, impegnati in selfie e shopping; spesso loro malgrado diventano parte attiva del gioco. La particolarità più divertente è che le sfide non sono organizzate, basta che le due squadre si incontrino, per caso o volutamente, e che uno o più membri diano inizio alle danze. Quindi si può ammirare qualche match solo se si ha la fortuna di passare nel posto giusto al momento giusto. Qualche tempo fa, passeggiando dopo un giorno di lavoro ho avuto il privilegio di poter assistere ad un incontro particolarmente avvincente da posizione privilegiata e di aver potuto ascoltare i commenti a caldo di alcuni dei protagonisti.
Questo resoconto è dedicato a quel ridicolo eroe mancato che si è preso tanto a cuore il suo ruolo da permettere un match talmente epico che avrebbe appassionato Omero ma ricavandoci soltanto gli sfottò del disincantato compagno di squadra.Cartello abusivismoIl concorrente della squadra senegalese chiude in fretta il telo appoggiato in terra con dentro le borse contraffatte, ci fa un fagotto e parte in fuga, tenendolo con una mano, insieme ai compagni.
Ma gli cade una borsa. E’ un momento clamoroso che riapre improvvisamente i giochi.
Il concorrente della squadra del comune – riconoscibile per la divisa e i vari gadget annessi quali pistola, manette e fischio – si lancia all’inseguimento mentre il compagno si limita ad assistere alla scena passivamente, dando l’impressione di non avere il necessario fondo atletico per partecipare.
Il pubblico che gremisce la piazza, composto perlopiù da turisti, osserva curiosamente la competizione. Il pubblico è talvolta parte attiva del gioco, compra le borse permettendo al gioco stesso di poter esistere e perpetuarsi.
Solitamente la squadra dei venditori, favorita da un buon allenamento e da motivi anagrafici, vince facilmente ogni match, riuscendo a fuggire fino alla meta portando con sé tutta la merce impacchettata. A volte per farlo travolge e manda al pronto soccorso qualche spettatore non abbastanza veloce nello scansarsi.ambulantiSpesso il match è troppo squilibrato, al punto che nemmeno la più disperata sala scommesse accetta più le puntate in favore degli africani.
Ma ora siamo in un momento topico, sportivamente bellissimo e drammatico.
Il giocatore della squadra comunale scatta con una rapidità impensabile per un uomo sulla quarantina.
Sta per farcela. Il giocatore senegalese deve recuperare la borsa e riuscire a raggiungere il resto della squadra che forse non si è accorto del problema e che è già riuscito a raggiungere la zona franca, posta oltre una linea immaginaria prima della curva che porta alla stazione dei treni.
Si combatte sul centesimo di secondo, sul riflesso più rapido, sull’attimo decisivo.
Non è chiaro cosa succederebbe se il concorrente del comune riuscisse a toccare l’altro in fuga. Al gioco della bandierina sarebbe punto per il comune ma qui non credo sia ammesso il contatto fisico o forse sì, il regolamento andrebbe perfezionato ma ci accontentiamo degli attimi di suspense come quello che stiamo vivendo.
Il venditore si volta, prende la borsa al volo, se la infila a tracolla e riesce a dirigersi verso la linea di vittoria portando con sé anche il resto del fagotto. Lo scatto del concorrente comunale è tempestivo ma troppo lento, si vede che è arrugginito dagli anni e dai vizi, l’altro no, l’altro combatte ogni giorno, ogni ora, vive con i nervi allerta, pronto in ogni momento alla fuga, preparato forse anche a imprevisti del mestiere come accaduto.
Il concorrente in divisa tenta comunque un inseguimento ridicolo e destinato al fallimento. A ogni falcata la distanza si ampia, il terreno che separa i due aumenta. Capisce di aver perduto, di nuovo. Ma stavolta c’è mancato pochissimo, stavolta stava per farcela, stavolta davvero è stato un punto al fotofinish; l’imprevisto della squadra africana gli aveva dato una grinta e una forza ora improvvisamente smarrite.
L’arbitro immaginario nascosto fra la folla fischia il punto a favore degli africani. E’ finita.
Il giocatore del comune torna sconsolato verso la base. Si toglie il cappello, prova a sistemarsi i capelli, sbuffa sudato dal sole estivo che favorisce ulteriormente la squadra avversaria.
Il compagno lo attende immobile nella stessa mattonella dove era all’inizio del gioco. Non si è mosso di lì, pare che non sia programmato per farlo, che non gli interessi il gioco o semplicemente non ne abbia voglia. Ci manca solo che si pettini guardandosi a uno specchietto o che si faccia la manicure.
Si fissano. L’altro torna sconfitto. Ha una strana luce negli occhi, un’espressione di sconforto mista ad ansia di rivincita. Per un attimo pare un reduce di qualche guerra dimenticata. Sta zitto.
Non ti rendi conto che è inutile” dice il giocatore rimasto immobile e passivo mentre all’altro pare stia venendo un infarto.
No, non lo è” riesce a replicare con la voce rotta dall’affanno. Ora nello sguardo c’è smarrimento, un velo di dispiacere.
Ci rendiamo ridicoli, a fare così” ha il coraggio di aggiungere il collega.
No, dobbiamo farlo.
Si allontanano, gli avversari torneranno appena ripreso fiato, si sistemeranno nel solito posto, sparpagliati nella piazza pronti al prossimo match, alla prossima fuga di gruppo.vigili-urbaniStasera il giocatore attivo del comune tornerà a casa. Toglierà la divisa.
Non gli passerà per la testa o non vorrà passarglici di essere una pedina piccolissima in un gioco enorme ma comunque finito. Che la società della stessa squadra che gli dà abiti e accessori è in realtà un sistema molto più articolato, che da sistema deve pensare e che forse ha deciso che gli altri devono vincere. Però lo pagano per combatterli e rincorrerli, perché entrambe le parti devono credere che non sia davvero così e poi si devono tenere un po’ allenati, o impigrirebbero.
Lui ripenserà alla scena.
Sognerà di avercela fatta, di aver recuperato la borsa e magari in un momento di megalomania perfino di aver catturato il concorrente avversario. Immaginerà una festa in suo onore, con il sindaco e la banda, tutta per lui, sognerà di alzare al cielo la borsa come un trofeo.
Poi tornerà sulla terra. Penserà che sarebbe bello almeno una volta giocare senza divisa – come sarebbe più logico – o di poter organizzarsi per fermare quella corsa troppo superiore alla sua. Sa che è impossibile, perché antisportivo e scorretto, rovinerebbe il gioco squilibrandolo eccessivamente. L’arbitro immaginario non gradirebbe e provvederebbe a squalificarlo forse per sempre.
Dopo si cullerà in un altro sogno impossibile. Sognerà di scappare, insieme ai compagni, inseguito da uno con la divisa e il cappello, di fuggire, di farcela, di sentire la distanza aumentare dall’inseguitore, di riuscire a portar via tutto a tracolla e magari di ridere insieme agli altri di quei goffi avversari vestiti con lo stemma del comune.
Sognerà di essere l’altro. Di vincere almeno una volta e vedere cosa si prova.

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