La stroncatura è diventata una delle attività meno attuate dalla critica per almeno un paio di motivi: a causa della quantità di promo a fronte del tempo del recensore diventa ovvio scartare, in primo luogo, i lavori meno validi ed, inoltre, stroncare attira l’antipatia dell’autore e/o editore. Visto che, dalla prospettiva dell’editore, la recensione è un’attività promozionale, esiste l’aspettativa, implicita, di un parere favorevole del recensore che dichiari l’opera come degna di eterno ricordo. Dalla prospettiva del lettore, la recensione è un’attività culturale e, pertanto, esiste la richiesta di separazione tra i lavori degni di eterno ricordo e quelli destinati a divenire ricettacolo della polvere.
Dal numero generalmente basso di recensioni negative emerge una tendenza che porta alla svalutazione della critica: la stroncatura è solitamente applicata verso gli autori dotati di una certa fama e di cui non è possibile ignorare l’opera. Questo probabilmente avviene sulla base di un ragionamento di natura economica che parte dal presupposto che, se un artista sconosciuto viene penalizzato dalla recensione, un artista affermato venda i suoi lavori a prescindere dal giudizio dei recensori. Evidentemente, se un lettore legge un giudizio negativo di un’opera minore di un artista affermato, ed un giudizio positivo di un’opera mediocre di un artista sconosciuto, è portato a ritenere inaffidabile il recensore.
Poiché la definizione di bello è strettamente legata al criterio estetico utilizzato, il livello di soggettività è tale da giustificare la discrepanza di giudizio tra pubblico e critica e rende apparentemente ragionevole il principio di non stroncatura. L’errore di quest’impostazione è l’equivalenza implicita dei criteri di bello ed importante. Il compito della critica dovrebbe essere quello di stabilire l’importanza di un lavoro, che è un criterio ragionevolmente oggettivo, anziché la bellezza, che è un criterio relativamente soggettivo. Per importanza si possono intendere due livelli distinti: uno è artistico ed è legato al livello tecnico di realizzazione ed uno è storico ed è associato all’uso linguistico del mezzo.
In questo modo è possibile stroncare lavori belli, nel senso di appaganti per i sensi ad un primo livello di analisi, ma che risultano banali, o esaltare lavori brutti, ma che rivelano un lavoro linguistico non banale nella loro realizzazione, e si elimina il principio per cui si stroncano lavori che hanno il solo difetto di piacere alle masse. Se si riduce la critica al gusto personale, o la si slega da considerazioni anche storiche, il rischio è la rinuncia ad ogni pretesa di distinguere il grano dal loglio oppure di criticare solo i consumi di massa per legittimare un approccio di tendenza. Infine, non stroncando, si manda un messaggio implicito ad un lettore: ciò che è scartato non ha valore artistico e quindi si mette sullo stesso piano ciò che è brutto con ciò che non si conosce e con ciò la critica diventa pubblicità.

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