Fuori, tra i tetti di tegole ed eternit, piove senza sosta. Va avanti da giorni, come in altre latitudini più a nord, più lontane dal mare. Le mura sono antiche, fatte di pietra e intonaco; il pavimento è un vecchio soppalco a cui si arriva passando per una scala di legno consunta e ripida, sembra di stare nel cassero di un galeone. La strumentazione di bordo è decisamente insolita: la stanza è ingombra di sintetizzatori, cavi, circuiti, oscillatori, altri apparecchi dai nomi misteriosi.

«Questo è uno dei miei batteristi preferiti» dice Stziopa alzando il volume dell’impianto. «Eli Keszler. Sono andato a sentirlo dal vivo in Repubblica Ceca. Uno dei concerti più belli che abbia mai visto.»

Stziopa è l’alias di Stefano Manconi, classe 1993. È nato batterista e nel tempo si è trasformato in un manipolatore di suoni; ha vissuto per quattro anni a Brno, dove ha lavorato per Bastl Instruments, un collettivo di sviluppatori di strumenti musicali elettronici. Da qualche mese è tornato a casa, in Sardegna. A settembre ha messo sul mercato il primo strumento interamente progettato e sviluppato in autonomia, Kompas; il 21 novembre è uscito sulle piattaforme streaming il suo EP solista Aloe Vera (Supranu Records), che è il motivo della mia visita nella sua tana.

Uno degli strumenti di bordo.
Uno degli strumenti di bordo.

 

Il press kit dell’etichetta descrive così l’opera: «Aloe Vera rappresenta la necessità di rallentare, dare uno sguardo a ciò che ci circonda e vivere il momento come fosse una cornice senza tempo». Ho ascoltato il disco in anteprima ed è tutto vero: sembra un sogno privo di coordinate temporali e fatto di impulsi radio, molecole di sintesi, scontri tra particelle nel cosmo. Da ex adolescente devoto a Seattle e ai suoi feroci anni novanta, mi ci è voluto del tempo per ammettere la musica elettronica tra i miei ascolti, così che ancora oggi mi accorgo di avere un’idea piuttosto vaga dei suoi principi fondanti: provo a capire qualcosa di più. Il risultato è la surreale conversazione che segue.

Cos’è Aloe Vera e come nasce?

«È un EP di quattro tracce, registrato qui nel mio studio ad agosto. È la mia prima release da solista, prima avevo partecipato solo a delle compilation e al progetto ~emb, una musicassetta in tiratura limitata che è uscita per Nona Records (la casa discografica di Bastl). È nato in maniera spontanea, all’inizio non pensavo di farne un disco: sono partito dalla traccia che dà il titolo all’EP. Mi piaceva, quindi ne ho composto una versione alternativa (per questo è divisa in due parti), poi ho aggiunto intro e outro. È suonato interamente con il mio synth modulare, senza post-produzione.»

Il titolo mi ha fatto pensare ad un avvicinarsi alla natura. Intesa come ambiente, ma magari è un ritorno alla “propria” natura, al proprio habitat. Oppure possiamo considerarlo un riassunto dell’esperienza all’estero? O una chiusura?

«Non so… la natura è un tema molto attuale e sensibile, pensa al dibattito sul cambiamento climatico. Credo anche che per una persona che viene dalla Sardegna la natura, come concetto, sia sempre una presenza molto forte. Forse lo vedo più come una chiusura di un periodo. Però è anche un inizio: un punto fermo, direi. Il senso comunque gliel’ho dato dopo, non sono partito dicendo “voglio fare qualcosa che sia significativo di questo momento”. Il contrario: quando ho ascoltato quello che stavo facendo mi è sembrato che fosse significativo.»

"~emb". Quasi più misterioso di "Stziopa": è la lingua delle macchine?
“~emb”. Quasi più misterioso di “Stziopa”: è la lingua delle macchine?

 

Gli chiedo qualcosa sulle ragioni del passaggio dall’analogico al digitale e subito mi accorgo che, se usi la terminologia in modo improprio, un addetto ai lavori non capisce e ti guarda strano. In parole povere, vorrei capire perché prima suonava la batteria e adesso i sintetizzatori modulari.

«Analogico e digitale sono due domini che appartengono al mondo dell’elettronica, quindi parlerei più che altro di passaggio dall’acustico all’elettronico. Comunque ho capito il senso della domanda.»

Provo a riformulare. Sì, non ho usato i termini precisi. D’altronde, nel mio immaginario la chitarra è “analogica”, ma volendo potremmo anche dire che la chitarra con i tasti è digitale, quella “fretless” è analogica. Diciamo così: il passaggio dalla non-elettronica all’elettronica.

«Certo, dipende dal senso che dai alle parole. La batteria non la suono da sette anni, e l’ho suonata per almeno altri sette. Questa dell’elettronica è una fase che dura da cinque anni. Credo sia cominciata perché la batteria non mi interessava più, in quanto strumento votato al suonare in gruppo; in alternativa puoi suonare da solo, esercitarti, ma non mi stimolava più. I synth mi piacciono da sempre, li compravo già al liceo, quando ancora non ci capivo niente; aprono possibilità espressive che la batteria non ha. Sarebbe bello se le due cose si incontrassero di nuovo, magari in futuro succederà. Senza tornare indietro, vorrei trovare un compromesso tra i due approcci, un nuovo modo di fare musica che includa sia i moduli sia la batteria acustica.»

A livello generale, come vedi l’uso sempre più massiccio dell’elettronica? In futuro la musica farà a meno dell’acustico?

«Secondo me gli strumenti acustici sono imbattibili, resteranno sempre insuperabili. Un computer, che può emulare il suono di altri strumenti (senza mai riuscirci fino in fondo), è utile non perché può riprodurre lo strumento acustico, ma perché può creare quello che l’uomo non è fisicamente in grado di suonare. Ad esempio, potrebbe essere interessante creare un brano per chitarra classica che nessun musicista al mondo è in grado di eseguire. Quello mi interessa, perché legittima l’uso della macchina. Perché dovrei usare computer o synth per fare cose che sono già umanamente possibili? Il fascino dei mezzi elettronici sta proprio lì, nel superamento dei limiti umani, e apre la strada ad altri quesiti… di natura esistenziale, se vogliamo. Questo le macchine lo fanno sempre.»

Uno dei pochi strumenti dall'aria familiare, ma dubito che si usi nel modo che penso io.
Uno dei pochi strumenti dall’aria familiare, ma dubito che si usi nel modo che penso io.

 

Perché costruire strumenti elettronici?

«Per me i motivi per costruire i propri strumenti sono tre. Il primo è che quelli sul mercato a volte non soddisfano le mie esigenze; se uno strumento non ha una funzione di cui ho bisogno, ne faccio uno da me. Il secondo è che se uno strumento costa, può essere conveniente costruirselo; devi investirci del tempo ma risparmi denaro, con tutti i pro e i contro del caso. Il terzo motivo è, diciamo, il divertimento: se ti piace, è uno stimolo molto importante. Lo strumento che ho costruito per la Bastl lo vendiamo con il kit di montaggio; anch’io i primi moduli li ho comprati così, te li vendono in kit e li devi assemblare. Ci sono però persone che non sono portate per il lavoro manuale e quindi gli strumenti li comprano già pronti.

È diverso fare musica con strumenti propri anziché di serie o fatti da qualcun altro?

Usare strumenti propri influenza tantissimo il modo di suonare, ma questo vale anche per quelli acustici. Una chitarra, dal punto di vista puramente sonoro, è limitata: il suono è sempre quello di una chitarra, ma all’interno di quei limiti ci sono possibilità enormi, puoi esplorare, toccare mille generi e stili. Gli strumenti elettronici hanno una paletta di timbri molto più estesa, è nella loro natura. In un’orchestra ogni musicista ha il suo ruolo: trasponi il concetto di orchestra in uno strumento elettronico, dove c’è un solo musicista. La macchina mi permette di controllare tutto, usando moduli che generano suoni randomici, e io faccio il direttore d’orchestra. Ogni componente del synth è un musicista.»

In particolare, come funziona lo strumento che hai costruito?

«Kompas è un generatore di ritmi basato sul metodo probabilistico, uno strumento che crea ritmi in modo randomico; la definizione esatta, in questo caso, è “randomicità pesata”. Tramite l’interfaccia decido quanto voglio che un ritmo sia denso, come se dicessi ad un batterista “voglio più colpi, o meno colpi”. Questo modulo nasce dalla voglia di giocare con il rapporto tra la macchina e il compositore. Volevo che, anziché essere io a decidere tutto, fosse lo strumento a suggerirmi delle idee; in questo modo il mio campo d’azione si restringe alla selezione. È la tecnica compositiva di Aloe Vera: se fai attenzione alle parti ritmiche, noterai che sono dei pattern che cambiano di continuo. Comporli battuta per battuta sarebbe stato un lavoro immane, invece è la macchina a deciderli. Aloe Vera è registrato senza montaggio: ci sono solo suoni in presa diretta, che ho manipolato in tempo reale.»

Un synth modulare, ad un certo punto della realizzazione, ha questo aspetto.
Un synth modulare, ad un certo punto della realizzazione, ha questo aspetto.

 

Forse non c’entra molto, ma mi vengono in mente gli esperimenti sull’intelligenza artificiale, che oggi sono sempre più avanzati e che a volte riguardano la musica…

«Sì, ci sono esperimenti di intelligenza artificiale sulla composizione. È un tema che si ricollega a quello che dicevo prima sull’utilizzo del computer. Con la IA è possibile generare strutture, brani. L’IA si basa su due fasi: analisi (machine learning) e sintesi, cioè l’output. Io do in pasto al computer mille brani di musica classica e lui crea una composizione basata sull’imitazione e sull’analisi.»

È quello che fa anche il cervello umano, con molte più connessioni.

«Certo, la macchina è solo matematica, poi c’è l’uomo che è fatto di conscio, subconscio…»

Che sono a loro volta fatti di impulsi elettrici.

«Certo. Non a caso, nell’intelligenza artificiale si parla di reti neurali.»

Potremmo dire che negli strumenti elettronici c’è un continuo feedback uomo-macchina, in entrambi i sensi?

«Certo. Con la chitarra o la batteria, sei tu che le chiedi cosa suonare e come. Con gli strumenti elettronici succede anche il contrario: emettono dei suoni e tu devi scegliere se usarli o meno. È un rapporto che va in due direzioni. Mi sono soffermato molte volte su questi temi, sono importanti per me: pensa che ogni esemplare di Kompas è accompagnato da una fanzine con diversi articoli e interviste; i temi trattati sono quelli su cui ragionavano i pionieri dell’elettronica degli anni sessanta, che si chiedevano se sia il musicista a suonare tramite la macchina oppure il contrario.»

Aloe Vera è un episodio destinato a restare isolato o preannuncia altri progetti più grandi?

«Questo non si può dire.»

Perché è segreto o perché ancora non lo sai?

«Non si può dire!»

Aloe vera, in vaso.
Aloe vera, in vaso.

 

https://bastl-instruments.com/eurorack/modules/kompas
https://stziopa.bandcamp.com/releases

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Nato nel 1984, vive a Sant'Antioco (Sardegna sud-occidentale). Bibliotecario, scrittore e redattore; nel 2017 ha vinto la VI edizione del premio letterario RAI "La Giara"; ha pubblicato i romanzi "Il Grande Erik" (Rai Eri, 2018) e "Le case del sonno" (Edizioni La Gru, 2019), più la raccolta di racconti "Storie dei padri" (2019, autopubblicazione) e il racconto breve "Il giardino" (Libero Marzetto Editore, 2021). Ama la fantascienza distopica, il garage rock, i fumetti.

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