Marzo 1969: il singolo Race with the Devil sconvolge il mondo della musica e guadagna il primo posto delle classifiche in Gran Bretagna. È qualcosa di mai sentito prima: il micidiale riff di chitarra si alterna ad una sezione di fiati che vola su un pomposo arrangiamento sinfonico. “Faresti meglio a fuggire dalla pistola del Diavolo / La corsa è iniziata / Faresti meglio a fuggire dalla pistola del diavolo”, recitano le prime strofe del testo.

Sono i semi di una musica nuova: gli intermezzi sinfonici, la risata folle e diabolica che corre tra le tracce come sospinta dal suono delle trombe; la chitarra solista, che sembra quella di Toni Iommi: possiede già il sound tagliente e aggressivo dei gruppi hard rock anni Settanta. Solo che è stata registrata nel ’68, quando i Black Sabbath sono ancora degli emeriti sconosciuti.

Gli autori di questo brano rivoluzionario sono i Gun. Nascono nel 1966 come The Knack (nulla a che vedere con gli omonimi autori di My Sharona): una formazione di quattro elementi a cui, per un breve periodo, si unirà anche Jon Anderson, futura voce solista degli Yes. Si esibiscono più volte al leggendario UFO Club, anche come supporto a grandi nomi (Pink Floyd, Arthur Brown); registrano un singolo mai pubblicato, Lights on the Wall; in un paio di occasioni entrano a far parte della programmazione live di BBC Radio.

All’inizio del 1968 il gruppo cambia radicalmente line-up: dei The Knack restano solo Paul Gurvitz e Louis Farrell, rispettivamente al basso e alla batteria. Il nuovo chitarrista è Adrian Gurvitz, fratello minore di Paul: quando il trio registra Race with the Devil ha appena diciannove anni. È lui l’ispiratore del cambiamento. I tre assumono il nuovo nome, Gun, e firmano un contratto con la CBS Records. Tutto è pronto per l’esordio, e, come detto, sarà un successo clamoroso.

Race with the Devil è estratto dal primo LP, l’omonimo Gun, pubblicato alla fine del 1968. La spettacolare copertina è opera dell’esordiente Roger Dean, artista visionario che negli anni Settanta ideerà le vesti grafiche di molti album celebri (in particolare, legherà il suo nome agli Yes e agli Uriah Heep), e, seppur splendida per originalità, non riesce ad anticipare il contenuto del disco. Anche perché, sino ad allora, un disco così non l’aveva mai fatto nessuno.

La prima traccia è il travolgente singolo che ha fatto la fortuna del gruppo. Seguono sette brani che confermano come Race with the Devil non sia un episodio isolato: i Gun sono uno dei primi autentici esempi di crossover nella storia della musica rock. Attingono a piene mani dall’esperienza di leggendari “power trio” del loro tempo, Cream e Jimi Hendrix Experience su tutti, ma a questo sound aggiungono qualcosa che fino ad allora nessuno aveva osato proporre. Hard rock e psichedelia con in più musica sinfonica, ottoni, cori, archi: nei decenni successivi la formula sarà rimasticata fino alla nausea da un esercito di gruppi heavy metal, al punto da provocare una perpetua sensazione di déjà vu (come sempre accade quando lo stilema prende il sopravvento sull’ispirazione). Nel 1968 invece non esisteva niente di simile: i Gun sono pionieri e inventori di questa fortunata commistione.

Non tutti i pezzi dell’album sono riusciti: in alcuni casi il trio non riesce ad arrangiarli in modo soddisfacente, o inserisce a forza le sezioni dei fiati e degli archi (It won’t be long). Ci sono però delle vere e proprie gemme che valgono l’intero disco: su tutte The Sad Saga of the Boy and the Bee, geniale cavalcata heavy impreziosita da puntuali commenti dei violini, e la maestosa Sunshine, sintomo dell’influenza del beat, allora imperante, sulla musica del trio. In tutto sono trentanove minuti di musica, culminanti nella travolgente Take Off, altro brano pienamente riuscito che risplende del genio creativo dei Gun.

Nonostante la giovane età, Adrian Gurvitz non è solo un chitarrista funambolico e preparato: è anche l’autore di tutti i brani dell’album, la mente e il motore dei Gun. Il suo ingresso nel gruppo rappresenta il salto di qualità della band, l’approdo ad un’esperienza di avanguardia audace come poche altre in quel periodo. Ne è una prova ancora più evidente il secondo e ultimo disco della band, Gun Sight (1969).

Anche in questo caso tutti i brani sono firmati da Adrian. I Gun danno alle stampe un LP che, se possibile, è ancora più audace del precedente. Rinunciano allo schema fisso rock + sinfonia dell’esordio e mettono insieme dieci tracce in cui si possono trovare le influenze più varie: blues e folk acustico, suggestioni latine, pop psichedelico. Non si fanno mancare nulla, nemmeno la ballata stucchevole (Angeline) che suona terribilmente anni Ottanta, ma in anticipo di dieci anni e più.

Tra un esperimento e l’altro continuano a spargere i semi del rock che verrà: il momento migliore del disco, a parere di chi scrive, è la sensazionale Dreams and Screams, che sfoggia sonorità stoner ed heavy metal quando questi generi musicali non sono ancora neppure immaginabili. In alcuni brani, soprattutto Situation Vacant, fanno capolino parti soliste di chitarre in cui viene abbozzato l’uso delle twin guitars, tecnica che diventerà marchio di fabbrica del thrash metal di fine anni Ottanta e in particolare dei Metallica.

Come e più che nel primo disco, Gun Sight dà al trio l’occasione di sfoggiare un’invidiabile abilità strumentale. Di Adrian Gurvitz si è detto, e qui porta molti colori nuovi alla propria tavolozza, dimostrandosi chitarrista capace di spaziare tra i generi senza mai strafare né restare sottotono rispetto al mood del brano. Il fratello maggiore e Louis Farrell non sono da meno: insieme formano una sezione ritmica muscolare e sempre all’altezza della situazione. Il risultato è che il disco suona a meraviglia, un vero piacere per le orecchie anche a quasi mezzo secolo di distanza.

Ciò che manca in Gun Sight è una nuova hit paragonabile a Race with the Devil, in grado di trascinare al successo l’intero disco. La seconda prova dei Gun passa pressoché inosservata e le vendite scarse portano rapidamente alla fine dell’esperienza dei fratelli Gurvitz con Farrell. Alla stessa velocità con cui erano saliti alla ribalta, i Gun scompaiono senza quasi lasciare traccia, fatta eccezione per quel singolo che aveva scalato le classifiche.

Paul e Adrian, però, non si fermano: dopo alcune esperienze insieme ad altri musicisti (il primo nel duo Parrish & Gurvitz, il secondo con Buddy Miles) si riuniscono e battezzano un nuovo progetto: Three Man Army. Sotto questo nome pubblicano due album nel periodo ‘71-’73; un terzo disco, registrato in quello stesso periodo, vedrà la luce solo nel 2005. Tony Newman alle pelli è il terzo componente fisso del gruppo, fino a che nel 1974 non lascia i fratelli Gurvitz per diventare il batterista di David Bowie.

L’abbandono di Newman regala a Paul e Adrian un biennio dorato. Al suo posto, infatti, reclutano una leggenda del rock: Peter “Ginger” Baker, batterista jazz dal talento smisurato già noto al mondo per la sua militanza nei Cream. Con il suo ingresso nasce il Baker Gurvitz Army: tre dischi in tre anni, fino allo scioglimento nel 1976. Il già discreto successo ottenuto dai fratelli Gurvitz con Three Man Army viene ampiamente consolidato nel nuovo progetto, che li conferma ai vertici dell’hard rock britannico.

Il maggiore successo commerciale del trio è il singolo Mad Jack, che apre il primo album. Negli anni successivi sarà solo Adrian Gurvitz a tornare sugli scudi della celebrità con la sua gratificante carriera solista (comprendente due singoli di grande fama negli anni Ottanta, Love in Your Eyes e Classic), che lo porterà via via sempre più lontano dalle sonorità con le quali era apparso sulla scena.

All’interno di una carriera tanto lunga ed intensa, il primo gruppo dei fratelli Gurvitz resta in disparte, come dimenticato. Eppure è proprio lì che si rivela al mondo la loro straordinaria capacità di creare e innovare l’hard rock, con un talento nell’anticipare i tempi che poche band nella storia possono vantare. I due dischi dei Gun sono da riscoprire e apprezzare a decenni dalla loro uscita, dopo che l’hard rock e l’heavy metal hanno trionfato in tutto il mondo e sono stati a loro volta superati da generi musicali ancora più estremi e violenti: ancora oggi, però, ascoltando Race with the Devil si sente un leggero brivido, una strana sensazione, come se si entrasse in contatto con una musica malefica e nuova, mai sentita prima.

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Nato nel 1984, vive a Sant'Antioco (Sardegna sud-occidentale). Bibliotecario, scrittore e redattore; nel 2017 ha vinto la VI edizione del premio letterario RAI "La Giara"; ha pubblicato i romanzi "Il Grande Erik" (Rai Eri, 2018) e "Le case del sonno" (Edizioni La Gru, 2019), più la raccolta di racconti "Storie dei padri" (2019, autopubblicazione) e il racconto breve "Il giardino" (Libero Marzetto Editore, 2021). Ama la fantascienza distopica, il garage rock, i fumetti.

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