Il fenomeno musicale British del momento si chiama Mumford and Sons.
Iniziamo educatamente dalle presentazioni: Marcus Mumford, Winston Marshall, Ben Lovett e Ted Dwane sono un quartetto di giovani poli-strumentisti londinesi, che nel dicembre 2007 ha intrapreso un originale progetto artistico incentrato su sonorità folk-rock.
Peculiare è innanzitutto la scelta degli strumenti: accanto alle classiche tastiere e batteria (Ben), e chitarra (Marcus), compaiono contrabbasso (Ted), banjo e chitarra resofonica (Winston), mandolino (Marcus), “attrezzi” tipicamente folk. Altra rarità è il frequente ricorso a cori (Ben, Ted, Winston) che creano un suggestivo corollario alla linea melodica principale (affidata a Marcus, vocalist e frontman del gruppo), che conferiscono ai brani un’aura di spiritualità e un’atmosfera evocativa tipica del genere gospel.
Date queste premesse, il successo non tarda ad arrivare: una serie di concerti in giro per la Gran Bretagna, un tour in Australia in supporto a Laura Marling (altra figura di spicco della cosiddetta “West London folk scene”) e qualche incursione negli Usa offrono alla band i primi spazi di visibilità; il mese di giugno 2008 li consacra sull’altare di uno dei più importanti palcoscenici del panorama musicale contemporaneo: quello del Festival di Glastonbury (su cui saliranno nuovamente nel 2011), durante il quale le esibizioni live della band conquistano un notevole riscontro di pubblico.
L’EP “Love your ground” del novembre 2008 e il primo album “Sigh no more” dell’ottobre 2009 (per la Island Records) li catapultano ai vertici delle classifiche inglesi e americana.
Nei due anni successivi i Mumford and Sons continuano ad acquisire popolarità grazie al loro tour, vincendo numerosi premi internazionali come il Billboard music award per il “Top rock album” e il Brit award per il “British album of the year”, ed esibendosi in celebri festival e show (uno su tutti il “The late show with David Letterman”).
Parallelamente, nel corso del 2011, registrano il loro secondo album, “Babel”, uscito nel settembre 2012 (di nuovo per la Island Records).
Questo secondo lavoro ricalca i suoni e i ritmi folk di “Sigh no more”, accentuandone l’intensità e la dinamicità.
Il brano d’apertura, l’omonima “Babel”, ben rappresenta lo stile della band: grande rilevanza alla chitarra resofonica e al banjo, nonché alla voce vibrante, corposa e a tratti graffiata di Marcus, in alcune sequenze lasciata cantare a cappella. Il riferimento costante alla spiritualità cristiana è un altro aspetto ricorrente nei testi del gruppo londinese (qui, ad esempio: “I cry Babel! Babel! Look at me now” o “The Watchman”, ad indicare Dio; citando altri testi: “I’d set out to serve the Lord”; spessissimo compaiono termini come “holy”, “grace”, “to kneel down”, “sin”, ecc…).
Il singolo che ha lanciato l’album è invece “I will wait”, sicuramente il brano più radiofonico e, in qualità di premiere, una scelta vincente. L’incipit moderatamente incalzante ma non troppo “esposto” sfocia in un ritornello semplice ma intenso e orecchiabile. Il testo si presta ad una duplice lettura: può suggerire il tentativo di rigenerare un amore appesantito e polveroso (“These days of dust, which we have known, will blow away with this new sun”), ma anche quello di aspettare la grazia e il perdono divino (“And I’ll kneel down, wait for you”).
La struttura tendenzialmente “duale” (incipit delicato e spesso accompagnato da cori in stile gospel, intensità ritmica e dinamica crescente nel ritornello con protagonismo di chitarra e banjo, di nuovo colori pacati sul finale) contribuisce anche ad esaltare il testo, che solitamente alterna espressioni struggenti a toni di inatteso cinismo, immagini contrastanti che rimandano ai campi semantici luce/oscurità (come in “Ghosts that we knew”), verità/menzogna (“Whispers in the dark”).
“Hopeless wanderer” è la migliore dimostrazione di quanto appena scritto: la canzone parla dell’urgenza di salvare un amore che si sta affievolendo a causa della natura nomade dell’innamorato, che oscilla tra ricordi felici e recriminazioni (“Left a clouded mind and a heavy heart, but I was sure we could see a new start..Don’t let your heart grow cold, I will call you by name, I will share your road..But hold me fast, hold me fast, ‘cause I’m a hopeless wanderer”).
La formula vincente del brano (e in generale di tutto l’album) consiste negli arrangiamenti potenti e d’effetto e nella perfetta aderenza delle parole alla dinamica musicale.
Altro brano di spicco è “Lover of the light”, secondo singolo estratto, il cui bellissimo video è diretto e interpretato dall’attore Idris Elba.
Amori vulnerabili, amori sbiaditi, nostalgia, senso di perdita, speranza, attesa, rinascita: i Mumford and Sons cantano di noi, mettono in musica spicchi di esperienze che tutti abbiamo vissuto, immortalano scatti emotivi in cui è immediato riconoscersi, vedersi; parlano al posto nostro, ed è come se ognuno ascoltasse davvero, all’improvviso, se stesso.

I Mumfors and Sons suoneranno live in Italia nel 2013 a Milano, Firenze, Roma.
Potete trovare le date sul loro sito ufficiale.

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