The Great Rock ‘n’ Roll Swindle! L’hanno gridato nel 1980 i Sex Pistols, ma molto prima di loro lo avevano capito sulla propria pelle tanti musicisti jazz afroamericani: la nascita del r’n’r è stata un’abile mossa dell’industria discografica WASP per sbiancare e omologare la rivoluzionaria musica jazz afroamericana (in tutte le sue evoluzioni, dallo swing, al be bop fino al padre musicale di quello che si chiamò rock’n’roll, il rhythm’n’blues). Non era concepibile, negli USA segregazionisti e razzisti degli anni ’50, che i giovani di tutte le provenienze si scatenassero al ritmo di quei balli sfrenati che i regimi nazifascisti europei avevano poco prima bandito, in quanto d’origine “negroide” ed ebraica. Difficile in effetti dare torto, in chiave ovviamente positiva, a questa definizione, viste la radici prima di tutto afroamericane, ma poi anche tzigane e klezmer, della musica più hot che sia mai stata creata nel Novecento. Quella stessa musica che a New York come a Parigi e Berlino fece impazzire il pubblico e in particolare i giovani di tutte le estrazioni sociali. Forse era proprio questo elemento popolare, generazionale e diffuso che andava anestetizzato, cercando di rendere il jazz, la musica che era nata nei bordelli di New Orleans, una musica contemporaneamente più bianca e più borghese.

Sarebbe ora il caso di porre almeno tardivamente rimedio, finito il Novecento, a questa ingiustizia storica. Invece, proprio ora che tornano di moda i balli jazz scatenati degli anni ’30 e ’40 (swing, lindy hop, balboa), la confusione al riguardo continua ad essere tanta sotto il cielo. Sfruttando l’attenzione che questa scena ha riportato su uno stile retrò, semplice e aggraziato, si affollano le serate in cui dal punto di vista musicale si scambiano un po’ superficialmente epoche e stili diversi, da parte di Dj e ballerini. Parrebbe un particolare secondario, un vezzo da intenditore (o da pedante saputello), ma a modesto parere di chi scrive è in realtà un’urgenza etica, storica e politica. Perché al ritmo del jazz si poteva cambiare in meglio il mondo, a colpi di allegria, consapevolezza, socialità e swing out. E la speranza è sempre l’ultima a morire.

A fare le spese delle mosse politiche ed economiche del business USA sono stati infatti ancora una volta gli afroamericani, a cui forse qualcuno pensava non fosse bastato il dramma dello schiavismo (che ha poi originato l’urlo di libertà e improvvisazione del blues, con un classico esempio di eterogenesi dei fini a livello storico-sociale). Dopo avere subito nell’era dello swing l’umiliazione dei race records, incisioni storiche meravigliose (ora conservate nella Library of Congress in qualità di bene dell’umanità), che venivano pagate molto meno ai musicisti neri, rispetto ai colleghi bianchi; dopo la beffa di dover suonare per i bianchi in locali in cui non erano ammessi poveri, immigrati e afroamericani; dopo la banalizzazione dello swing ad opera delle big band sempre più orchestrate dagli interessi commerciali dell’industria discografica (a cui i migliori, come Dizzy Gillespie e Charlie Parker, musicisti in origine swing, reagirono creando, in jam session improvvisate nelle pause tra un set notturno e l’altro, una musica troppo difficile per essere nuovamente rubata, il be bop), sarebbe giusto da parte nostra conoscere la storia della musica che balliamo e riconoscerne storia, radici e sviluppi. Magari anche capendo che tra un contrabbasso jazz e un basso elettrico r’n’r, ci passa in mezzo un mondo; non solo di divertimento, ma anche di ingiustizie sociali e storiche.

Se ammiriamo la nascita del lindy hop e del ballo jazz in reperti straordinari come questo breve filmato (link youtube), troviamo Harlem e l’epopea del popolo afroamericano. Anche i geniali fratelli Marx non potevano spiegare meglio, con il loro stile inconfondibilmente ironico e intelligente, la nascita del jazz e di questi balli dal dramma di libertà del blues e dalla spiritualità gospel: link youtube.

E poi, dopo che il sound del rhythm’n’blues (che nasce molto prima di Elvis, circa alla metà degli anni ’40) fu mischiato al country hillbilly e affidato a cantanti pallidi, più digeribili per il pubblico e il potere WASP, nacque solo a metà degli anni ’50 un’altra etichetta e una storia diversa rispetto al jazz, quella del rock’n’roll. Musica adorabile e divertente, ma che sarebbe giusto fare risalire a Big Joe Turner (link youtube) o a quel briccone di Ike Turner (link youtube), piuttosto che ai loro successivi epigoni bianchi (che tra l’altro, si presero il grosso del successo e del malloppo). E quando Chuck Berry o Fats Domino tentarono di contendere il trono di King of Rock’n’Roll, “caso” vuole che furono sistemati e zittiti da scandali creati ad arte basati sulla loro sessualità ambigua (omosessuale e interrazziale, scandalose entrambe in una nazione, in cui la segregazione più o meno dichiarata tra bianchi e neri, come tra ricchi e poveri, è una realtà quotidiana ancora in molti stati). E infatti di tutta la grande e tragica storia musicale e sociale degli afroamericani, già nel 1956, è sparita ogni traccia nei video che resero celebre l’epopea di successo mondiale dei drive in e degli idoli USA: link youtube

In fondo, senza mai smettere di ballare, si tratta di conoscere e prendere parte, essere partigiani nel senso etimologico ed etico del termine. Per quanto mi riguarda, ora e sempre con il Duca: link youtube.

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