La mostra ospitata nella cripta del Museo Marino Marini a Firenze, Melotti guarda Melotti – curata da A. Salvadori e M. Grani e che durerà fino al 4 gennaio 2014 – si inserisce a pieno titolo all’interno del programma, a cadenza annuale, ideato dal direttore del museo Alberto Salvadori, che concede un importante spazio alle opere di collezionisti italiani nell’ambito dell’arte contemporanea.

Si tratta di un’esposizione interamente dedicata alle opere di due grandi artisti: Marino Marini (1901-1980) e Fausto Melotti (1901- 1986).

Perché la scelta di questo titolo?

La risposta va tutta ricercata proprio nelle uniche opere esposte: il Ritratto di Fausto Melotti (1937), di Marino Marini e Teorema (1971) di Fausto Melotti.

Le opere di Marini e Melotti e confronto

Le opere infatti vengono poste una di fronte all’altra convivendo in un vero rapporto di sguardi e di giochi chiaroscurali che coinvolgono lo spettatore, il quale si ritrova a contemplare due sculture completamente diverse tra loro e che invitano ad uno sguardo più approfondito nei confronti della storia dell’arte e dell’evoluzione della scultura nel corso del Novecento.

Ma se in prima battuta ciò che colpisce è proprio la profonda diversità, stilistica e materica, delle due opere pare che forse una certa corrispondenza possa essere trovata.

Certamente il ritratto realizzato da Marino Marini risulta essere in perfetta linea con le idee dell’artista. L’opera infatti esprime un certo gusto classicheggiante, con un’attenzione tutta concentrata sulla pura forma ben studiata all’interno dello spazio.

È un ritratto che allo stesso tempo, proprio per queste caratteristiche, si lega a ad una certa sensibilità metafisica tipica di Fausto Melotti. Ma se in Marino Marini tale sensibilità prende corpo, diventa materia, in Fausto Melotti invece lo sviluppo è tutto opposto, diventando noi testimoni di due interpretazioni assolutamente diverse tra loro ma entrambe costituite da una particolare tensione poetica.

In Teorema infatti, Fausto Melotti, in accordo con ciò che apprese da Pietro Canonica, mette a nudo il suo interesse verso gli effetti di luce attraverso la realizzazione di una vera e propria struttura metallica all’interno della quale il peso della materia sfugge. All’occhio risulta essere una struttura molto leggera, lieve, dal corpo svuotato, nella quale, come molti hanno notato, Melotti tenta di tradurre plasticamente le sue passioni musicali riverberate qui nella ricerca di pieni e di vuoti, nell’assenza di corpo, nel silenzio e nel ritmo.

La fruizione poi è favorita dal piccolo ambiente in cui le sculture convivono, il quale, oltre che agevolare e assecondare un’analisi introspettiva delle due opere, risulta essere perfettamente adeguato ad ospitare entrambi gli oggetti in presenza di luci che creano sulle pareti bianche sagome e giochi chiaroscurali pienamente inseriti nel vortice di sensazioni contrastanti generate proprio dalla differenza interpretativa delle opere presenti, accomunate dallo stesso linguaggio.

Marino Marini e Fausto Melotti

 

 

Giochi chiaroscurali, atmosfere metafisiche, poesia, silenzio, sono tutti elementi che invadono lo spettatore della mostra Melotti guarda Melotti che diventa testimone di due maniere assolutamente diverse di pensare la scultura, ma che unendosi creano un filo sottile di corrispondenze che possiamo trovare tra due opere realizzate a 34 anni di distanza.

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