Le sperimentazioni post-moderne hanno percorso strade plurali, discutibili e discusse.
Dopo aver ormai metabolizzato un processo di stigmatizzazione – spesso brutalmente indotto – dell’approccio e delle iniziative del movimento moderno, sono stati riconosciuti a livello internazionale gli errori di una rigida funzionalizzazione dello spazio e dell’annientamento di stratificazioni storiche e culturali dovute all’interpretazione della tabula rasa.
Storicamente l’opera architettonica è stata espressione del potere di note famiglie nobiliari, il desiderio o lo sfizio di rilevanti figure ecclesiastiche, come anche la manifestazione di governi esplicitamente dittatoriali o meno. Oggi, rafforzati dalle stagioni architettoniche precedenti, è stata appresa la lezione. Non sono più solamente i committenti a veicolare l’architettura a strumento di pubblico riconoscimento ed affermazione, ma gli stessi professionisti. Interventi nazionali ed internazionali promossi in primis dagli enti pubblici richiedono la firma di grandi archistar per ricevere legittimazione.
Sembrava esser accantonata la visione secondo la quale l’architettura dovesse essere il veicolo di giochi di potere per volgere e riflettere piuttosto i bisogni della collettività.
Ecco, oltre il danno anche la beffa. La rincorsa delle amministrazioni e degli investitori al loro fianco all’accaparramento di nuove affermazioni architettoniche per porre un marchio riconoscibile in un paese, una città, un territorio. Il sigillo di un’architettura-monumento che possa loro conferire un ruolo di “innovazione” e “modernità”, che possa attrarre nuovi interessi e flussi economici e magari rafforzare l’accesso ai circuiti turistici, oltre che tacitamente favorire le lobby locali.

Fino a qualche anno fa erano le metropoli e le grandi città in lizza. Nell’ultimo decennio, il fenomeno ha preso piede fino ad interessare anche realtà urbane di medio-piccole dimensioni. In un momento storico in cui lo stato-nazione è offuscato dal ruolo predominante della città-stato nei circuiti globali, la concorrenza è sempre più forte. La necessità di creare un’immagine allettante e giovane per intercettare un minimo di affermazione nei canali nazionali e soprattutto internazionali diventa prioritario.
Foligno, ad esempio, centro urbano di media dimensione della realtà umbra, veniva ricordata a livello nazionale per delle vicende poco piacevoli. L’immaginario collettivo richiamava immediatamente il mostro di Foligno ed il terremoto che nel 1997 segnò profondamente il territorio.
Per farsi spazio con una proposta più innovativa, le amministrazioni hanno e stanno investendo in interventi architettonici ed urbani di vario taglio. Una riqualificazione del centro storico era inevitabile dopo le opere talvolta incomplete della ricostruzione successiva al sisma, ma si va ben oltre. Fino ad inseguire anche qui il marchio di grandi architetti.

A chi segue in modo piuttosto attento la realizzazione di nuovi progetti architettonici, non sarà di certo sfuggita la costruzione della chiesa di San Giovanni Battista a cura dello studio Fuksas, inaugurata nel 2009. Ampiamente dibattuto e criticato dai cittadini, l’edificio sorge in una nuova zona di espansione della città. Un monolite in cemento di geometria pura alto 26 metri si staglia in modo incoerentemente incontrastato sulla pianura residenziale circostante. All’architettura massiva esteriore si contrappone la leggerezza del cubo sospeso all’interno; una dimensione spaziale più espressiva grazie alla ricerca formale della verticalità come tensione simbolica verso Dio permeata da imponenti coni di luce delle aperture irregolari.
Le resistenze e le battaglie della cittadinanza rispetto all’edificio son servite a ben poco. Come del resto, sta attualmente accadendo per il progetto di riqualificazione dell’ex zuccherificio. L’area industriale di grande rilevanza storica è ormai dismessa da decenni senza che sia stato mai attivato alcun tipo di intervento. Finalmente l’amministrazione prende in mano la situazione, ovviando ad un ripristino parziale del patrimonio architettonico come è avvenuto in casi esemplari di recupero in chiave archeologico-industriale _ si possono banalmente citare la Tate Modern di Londra, o nel panorama italiano, il Lingotto di Torino e lo zuccherificio di Cecina (Livorno).

Il progetto, uno dei più grandi interventi che ha mai investito la realtà folignate escludendo i lavori di ricostruzione post-sisma, è stato commissionato su invito all’architetto Gae Aulenti. Come risalta nella stampa locale, “l’avamposto della Foligno di domani” dovrà comprendere un “polo commerciale, abitativo, ma anche tanto verde”.
La proiezione facilmente immaginabile di impatto del progetto sul territorio ha destato forti perplessità dei cittadini sotto diversi profili. Innanzitutto la realizzazione di un nuovo polo commerciale a ridosso del centro storico porterà automaticamente alla chiusura di negozi ed attività commerciali di dettaglio che costellano le vie folignate e che costituiscono uno dei principali motori di attrazione del nucleo storico. Secondariamente, ma non meno importante, è la discutibilità della costruzione delle due torri di 80 metri a solo uso residenziale considerando la stagnazione demografica e le criticità del mercato immobiliare. Lo skyline urbano, non solo della realtà folignate ma del territorio che nel raggio di pochi chilometri comprende le caratteristiche località di Bevagna, Spello, Montefalco ed Assisi, modificherà profondamente in un’ottica di sviluppo che ha scarsa considerazione della tutela paesaggistica e dell’identità locale.
Alla conferenza stampa del 15 marzo 2012, l’architetto Aulenti ha cercato di giustificare, aggrappandosi a slogan ecologisti, la scelta delle due torri come soluzione per “avere un’occupazione minimale del verde”. Citando inoltre T.S. Eliot «La tradizione non si eredita, ma si costruisce giorno per giorno» la progettista ha anche convalidato la demolizione già effettuata sulla quasi totalità degli edifici preesistenti.

Gli elaborati illustrativi richiamano chiaramente l’innovazione sbandierata dai progettisti e dai finanziatori tale da rimandare a prodotti storici del razionalismo moderno. La planimetria generale mostra la dislocazione dei nuovi edifici secondo una rigida griglia ortogonale da cui si distaccano le due torri interamente destinate ad uso residenziale.
Non si vuole tra l’altro entrare nel dettaglio dei percorsi amministrativi con i quali il Piano Attuativo è stato approvato nel 2005 per poter procedere all’accettazione del nuovo progetto dell’ex-zuccherificio.

L’ultima riflessione che forse più di tutte vale la pena condividere è relativa all’opinione ed al ruolo della cittadinanza.
Le reazioni alla proposta – o abuso? – progettuale sono state svariate.
Paradossalmente un tacito consenso è avvenuto dalla maggioranza degli esperti, architetti, artisti e tecnici folignati che sembrano aver vagamente subito l’assoggettamento del dispiegamento dei poteri economici locali. Potrebbe esser anche comprensibile la paura di essere esclusi dall’imponente investimento che riguarda l’intera città. Eppure voci fuori dal coro riescono a farsi spazio. I commenti su alcune testate locali, forum e blog sono espliciti. Anche la posizione di alcuni cittadini e movimenti è altrettanto netta eppure non sono stati minimamente contemplate.
Forse vale la pena chiedersi come cittadini, prima che professionisti, quali sono gli spazi e le forme di diritto alla cittadinanza che esigiamo o che piuttosto siamo disposti a contrattare.

Foto di Lucia Guarino.

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