“Volevano sapere se ero disposto a rispondere a qualche domanda per il loro corso.
<< Sparate .>>
<< Chi era il suo autore preferito?>>
<< Fante. >>
<< Chi? >>
<< J-o-h-n F-a-nt-e Ask the Dust, Wait Until Spring, Bandini.>>
<< Perché le piaceva? >>
“Emozioni totali. Un uomo molto coraggioso.”……“

Inizia così una delle più assurde riscoperte della storia della letteratura.
Il libro citato è Women di Bukowski. Non proprio da leggere ai bambini per la buonanotte.
Edito nel 1978 dalla Black Sparrow Books, è il terzo libro della fortunata saga di Hank Chinaski.

In realtà a essere fortunato è John Martin, l’editore della Black Sparrow, che ha convinto (non che ci volesse molto) un quasi cinquantenne smista-lettere alcoolizzato a mollare il lavoro per scrivere sotto uno stipendio fisso.

Da Post Office in poi, il primo libro del 1971, inizia una cavalcata trionfale. Tradotto in spiccioli sono soldi per tutti.

Pare, soffiano leggende, che proprio Martin si complimenti con Bukowski per l’invenzione del titolo e dell’autore. Pare che, per lasciarsi andare a un po’ di romantico fatalismo, che lo scrittore abbia risposto che non c’era nessuna invenzione, esistevano sia libro che autore e che egli per giunta viveva nella stessa città, San Diego, Los Angeles. È una storia vecchia, di libri spogliati in interminabili pomeriggi alla biblioteca comunale, in fuga dai debiti, dalla povertà, dalla noia. Anche dall’ignoranza e dall’alcool.

John Fante ha scritto Ask the Dust trentanove anni prima, nel 1938. Precedentemente aveva pubblicato Wait Until Spring, Bandini. Nel 1952 ha avuto abbastanza successo con Full of Life ma in generale non si può certo definire uno scrittore famoso. Mette su famiglia e prole, vive lavorando per il cinema, scrive sceneggiature. Non si sa molto della sua vita, rivelano molto di più pezzi dei suoi romanzi che articoli o biografie piuttosto scarne. Nel 1955 si ammala di diabete, ha solo quarantasei anni ma certe cose te le porti nel sangue dal primo secondo.

Ma dalle tenebre si può riemergere. Lo hanno insegnato in molti. Non è mai troppo tardi.

La natura e le bestie sono precise. Ma l’uomo e le cose umane, come la fama o il successo, sono completamente irrazionali.

Magari passi la vita a cercarli e quando smetti di farlo arrivano, e non sai più che farci, oramai, e ti viene da ridere e speri che Dio esista perché vorresti sputargli in faccia ma poi pensi che alla fine non è mai troppo tardi e che, se è andata così, si vede che doveva andare così e allora che vada, meglio di niente, facciamoci una risata e che il cielo esista anche se il nostro posto è l’inferno, come diceva quello stupendo matto di Borges, ma questo è un altro discorso, è un altro scrittore, lasciamo perdere gli dei.

Succede che la casa editrice si metta a ristampare Ask the Dust, fuori stampa da anni. Succede che il suo eco dimenticato rimbombi come un tuono. Succede che quello stile delicato anche nel macabro, quell’ironia rabbiosa, quel gusto perverso di odiare una morale idiota e atavica e di non potersene privare, quella precisione deliziosa nelle frasi, nei dialoghi e nei periodi, quel modo unico di scrivere, quasi strambo, arido e fertilissimo nella stessa proposizione, capace di far appassionare e innervosire, ridere e dispiacere, sperare e rimanere delusi, riemergano alla memoria degli uomini e della letteratura con il loro canto potente.

Era destino, bello, te lo meritavi, se lo meritavano tutti, non succederebbe niente senza il primo gesto di coraggio, quella benedetta forza che ti fa mettere a sedere e buttare giù una parola, poi l’altra, cercando una lucida follia, amando quei momenti, quei rumori di tasti, quel tempo che sfuma, ricordando sempre che chiunque sa scrivere le parole, ma che è quasi del tutto una questione di puro ritmo. Si tratta di cantare rimanendo zitti.

Bukowski scriverà una prefazione stupenda all’opera. E anche un paio di poesie, nelle quali narra come l’altro gli racconti, da un letto di ospedale, come la scrittura non fosse un dono ma una magica ossessione.

Sì perché nel 1978 succede davvero che si incontrino. L’abruzzese, americano di seconda generazione, complessato da secoli di assurde morali cattoliche e civili, oberato dalla malattia e dalla famiglia, dalle donne e dal lavoro, ossessionato dalla scrittura, con il crucco emigrato, devastato da una famiglia benpensante e da una vita durissima, fra alcool e lavoracci.

Si incontrano nell’ospedale di Los Angeles. John Fante è nella fase terminale; quasi cieco, con le gambe amputate, detta nel buio dell’anticamera della morte l’ultimo romanzo alla moglie, Dreams from Bunker Hill.

Bukowski lo va a trovare. Non è mai troppo tardi, già. Il maestro riconosciuto morente incontra l’allievo al quale deve praticamente tutto. Ci può essere qualcosa di più assurdo? Sì, molto, potrà dire qualcuno.

Hank Chinaski va a omaggiare Arturo Bandini. È un incontro di uomini, di scrittori, di alter ego. Tutti e tre sono nella leggenda di un secolo che vola verso la sua fine bruciando le sue storie come fossero foglie secche.

La storia finisce l’8 maggio 1983, con la fine più scontata possibile. Ma in realtà non finisce. Perché trent’anni dopo sono qui a parlarne. Perché Akinator mi ha scoperto subito John Fante e io credevo di averlo fregato finché non mi ha chiesto se era un americano di origini italiane e poi se era uno scrittore. Perché hanno fatto un film su Ask the Dust che non ho visto, sentivo puzza di bruciato, era il 2006.

Perché tutti abbiamo amato Camilla, perché l’abbiamo trattata male, l’abbiamo portata sulla spiaggia. Perché tutti abbiamo avuto paura di prenderla, quella notte in riva all’oceano.

 

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO