Da qualche giorno ho completato la rilettura di Fosca di Iginio Ugo Tarchetti, lo avevo quasi dimenticato, e nonostante le limitate aspettative, le immagini sprigionate da questo libro continuano a ripresentarsi nella mia mente. Spesso nell’inquadramento critico degli scapigliati troviamo un più o meno esplicito riferimento alla bassa qualità formale delle loro produzioni letterarie, e probabilmente la mia memoria faceva riferimento a questo. Le aspettative, scarse dunque, si accostano al testo come a una semplice testimonianza storica: l’oggetto dell’idea, il romanzo, diviene quasi importante per il suo mero esistere che per il come la sua esistenza viene a realizzarsi.

Nonostante tutto, mi sono addentrato con curiosità nelle pagine di questo romanzo di fine secolo, di fine e inizio epoca: in quegli anni si realizza il sogno risorgimentale, si affacciano nuove inquietudini, rivelatesi poi longeve – filo diretto che ci impedisce di parlare di quell’epoca come di un vero e proprio passato – si vengono delineando modernità, psicanalisi, vuoti esistenziali, e disgregazioni dell’io narrante (e vivente) delle quali molte pagine fanno da testimone e alle quali sono costretto a rimandare per eventuali e più idonei approfondimenti.

Parlando schiettamente da lettore, le aspettative di cui dicevo si sono certamente confermate per alcuni aspetti. La storia, lo ricordo in breve, è quella dei due amori vissuti dal protagonista (Giorgio), un militare che parte da Milano per assolvere ai suoi doveri, allontanandosi dalla sua felice relazione con una donna sposata con un uomo che non sembra amare più. Nonostante la lontananza i due perseverano, ma il protagonista viene trascinato suo malgrado in una relazione con Fosca, un’altra donna conosciuta nella città nella quale si è dovuto trasferire. La donna è animata da un amore morboso nei suoi confronti ed è afflitta da un male contorto, misterioso, mai nominato – senza nome, che avvolge i suoi nervi, la sua psiche e si sovrappone al suo aspetto singolarmente sgradevole. Il medico che segue la sua malattia informa Giorgio che un suo rifiuto potrebbe uccidere Fosca, poiché questa non potrebbe reggere la sofferenza che ne deriverebbe, a causa della sua infermità. Giorgio è spaventato dunque dall’idea di ucciderla, trovandosi obbligato ad amarla a causa di questa idea che lo tormenta. Da qui si muovono le vicende del romanzo, che in realtà non è ricco di avvenimenti, ma carico di stati emotivi e riflessioni tra amore e mente. Sebbene la prima parte risulti poco eccellente nella stesura e a tratti prevedibile nelle scelte del linguaggio, nel complesso l’opera è estremamente interessante. Ancora potremmo dire che facilmente riscontriamo i tratti della mentalità di un’epoca con i suoi cliché. Per tutto il testo possiamo ancora rilevare alcune scelte forse un po’ povere, ma occorre considerare quanta e quale tradizione in fatto di romanzo hanno alle spalle Tarchetti e l’Italia al momento della stesura di quest’opera, e questo apre molte questioni, linguistiche e formali, poiché i modelli sono scarsi e le esperienze di questi anni vengono ad essere di conseguenza pionieristiche. Resta innegabile però la capacità del testo di coinvolgerci negli stati emotivi e nelle situazioni, giungendo a farci paura o rabbia, o proiettandoci di fronte immagini estremamente forti, stati che io stesso ho provato nell’imbattermi in questo lavoro e che da giorni continuano a riaffiorare.

In definitiva è un’ottima lettura, adatta a chi è interessato ad uscire dalle abitudini e perché no, a chi volesse valutare qualche aspetto possibile della mente umana.

Immagine di copertina: Egon Shiele Liebespaar 1913

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