La Dolce Vita, Vacanze Romane, Santo Gra, la Grande Bellezza. Tante sfaccettature di uno stesso concetto. Punti di vista diversi convergenti in un medesimo luogo. Da nord a sud, dalla periferia al centro, da Centocelle al Colosseo, Roma trionfa sempre.

Bella, grande, multietnica, turistica, mondana. La città eterna è questo e molto altro. Accoglie scenari tetri, povertà, opulenza, terrazze in Via del Corso, case popolari sul raccordo anulare.

Dal teatro, al cinema, all’arte, sono in tanti ad aver cercato di definire una città indefinibile, ad aver provato a racchiudere in un’idea l’Urbe, ad aver colto un singolo fiore dal vasto mazzo offertoci dalla metropoli.

Fornire un punto di vista parziale su una realtà tale provoca l’inevitabile formarsi di fazioni opposte, amore e odio. Piovono critiche da destra a sinistra. Si accendono gli entusiasmi. Si passa dagli insulti all’idolatria. Gli astenuti sono pochi.

La reazione alla pellicola di Sorrentino non fa eccezione. Accolta da una critica fredda e da un pubblico diviso, la Grande Bellezza arriva nei cinema nella primavera del 2013.

Per tanti un film vuoto, inutile, falso. Un film che non descriverebbe la realtà della capitale, ma che anzi fornirebbe una visione menzognera, superficiale, traviata. Per altri un colpo di fulmine, una folgorazione. Un film sincero, un grande Toni Servillo, una fotografia e una regia uniche. La bellezza di Roma fusa con la classe degli attori. Una ricchezza di contenuti efficace nel descrivere vite vuote e ambigue. Tanti messaggi sociali fra le righe di un film che riesce a rendere l’idea del nichilismo postmoderno senza esserlo minimamente. Uno spaccato di Roma che non ha nessuna pretesa di descriverla nella sua interezza.

La lotta continua, ma da ieri l’ago della bilancia pende da una parte.

La grande bellezza della nostra capitale è stata colta anche a Los Angeles. Ad aver dormito con le dita incrociate col pensiero rivolto oltreoceano con me c’erano tanti connazionali.

Oggi sono pronto a critiche e arringhe pubbliche, ma esco col sorriso, una sigaretta fra i denti, una camicia bianca e una giacca gialla, con l’immancabile fazzoletto rosso.

Perché, checché se ne dica, abbiamo pur sempre vinto un Oscar.

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Venuto al mondo nell’anno della fine dei comunismi, sono sempre stato un curioso infaticabile e irreprensibile. Torinese per nascita, ho vissuto a Roma, a Bruxelles e in Lettonia. Al momento mi trovo in Argentina, dove lavoro all’università di Mendoza. Scrivo da quando ho sedici anni, non ne posso fare a meno. Per ora ho pubblicato diversi articoli, un breve saggio e un racconto, “Ovunque tu sia” è il mio primo romanzo.

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