Rispondo all’invito degli amici del Malpensante per scrivere due parole sul cinema. Siamo andati a vedere, saltuariamente, cosa succedeva a Lo schermo dell’arte, il film-festival che da sei anni si tiene all’Odeon (13 – 17 novembre). E un film ci è piaciuto più di tutti: Mastequoia op. 09-13, registi Gabriele Silli, Giacomo Sponzilli, Carlo Gabriele Tribbioli.

Questo film, o film come questo, lo consiglierei a mio figlio se mi dicesse che vuol fare cinema.

Perché un regista, quando è libero, quando filma non pensa a cosa deve filmare. Il regista vede una cosa, stabilisce che è cinema, la filma. Non gli interessa fare un film, gli interessa fare cinema. Semmai il film viene dopo. Così questi tre registi hanno passato i loro giorni a filmare i cieli di Olanda, una ragazza che si spalma una crema in viso – noi la vediamo di spalle allo specchio, solo un occhio e la schiena –, la metropolitana di Tokyo, la casbah di Fez; poi si sono inventati altre cose, come un tipo che nottetempo spacca bottiglie piene di alcool che vanno in fuoco contro i muri di un sottopassaggio, o un imperatore giapponese che si affaccia a una finestra – hanno messo in una stanza nera quattro giapponesi vestiti di nero, e gli hanno fatto tendere una stoffa nera a simulare la cornice –, un sacrificio di un’anguilla sui tetti marocchini, intervallata da una stupenda scena di sesso, stupenda perché il montaggio spezza tutta la sequenza, come se simulasse l’avvicinamento dell’orgasmo e esplorasse la fisica dell’atto.

Il film è muto, sonorizzato, ma senza dialoghi. Chiunque lo chiamerebbe ‘sperimentale’, io vorrei che questa fosse la normalità. Un alfabeto che ti insegna come combattere le immagini inutili. Sembra di entrare nel sogno di un anarchico.

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