Sono passati poco più di due anni dall’uscita del primo lavoro del gruppo piemontese Il disordine delle cose, intitolato “Tamburi Usati”, che li ha segnalati come una band rivelazione della scena indipendente italiana. Adesso sono tornati con il loro secondo lavoro, “La Giostra”, uscito lo scorso 29 febbraio, che si preannuncia come un album cruciale per il percorso della band di Marco Manzella, cantante e paroliere del gruppo. L’ultimo disco si avvale della collaborazione del quartetto d’archi islandese Amiina, ma la vera peculiarità del disco, oltre al fatto che è stato interamente autoprodotto, è rintracciabile nel fatto che sia stato registrato in Islanda, negli studi che hanno dato la luce ai lavori dei Sigur Ros, con l’aiuto di Birgir Jòn Birgisson, manager e fonico degli stessi Sigur Ros. Il primo singolo estratto è “Sto ancora aspettando”, una canzone che parla di promesse non mantenute, che portano alla fine di un rapporto del quale non rimane che la debole convinzione che un giorno andrà tutto per il meglio, della serie: la speranza è l’ultima a morire. La titletrack dell’album parla di come la vita riesca sempre a sorprenderci, di come nel momento in cui si riesca a seguire gli schemi imposti dalla società, quindi la normalità, ci sia sempre qualcosa che ti riporti indietro, ad osservare il mondo, fermi, al centro della giostra. “Vorrei, potrei, dovrei”, oltre ad essere uno dei brani più riusciti dell’intero disco, è un’introspezione sul cosa vorremmo fare, essere ed avere ma che invece non riusciamo a realizzare con il risultato che ci dobbiamo aggrappare ad altre persone per sentirci meglio, persone che spesso non stanno molto meglio di noi.

Il disordine delle cose: La GiostraIl gruppo ha cercato di far coesistere la nostra tradizione del cantautorato più intimo con il sound più avvolgente della musica nord europea, cosa perfettamente riuscita perché fin dal primo ascolto de “La Giostra” percepiamo come l’atmosfera sonora cerchi di essere il più introspettiva possibile, mai forzata, sempre delicata e ricercata, la classica musica che sarebbe perfetta per una passeggiata negli stupendi paesaggi islandesi in cui la band ha registrato il disco, paesaggi dei quali evidentemente ne ha subito il fascino. I testi cercano di essere ricercati e di invitare alla riflessione tramite rimandi velati a domande esistenziali anche se in alcuni casi, per esempio in “La Giostra”, sembra che la tranquillità e la felicità derivino da schemi imposti dalla società; forse un po’ poco per un album che vuole essere introspettivo. Lo stile, che ricorda quello dei Perturbazione, può dare l’impressione che manchi qualcosa, che sia come depotenziato, manca infatti l’exploit che solo i live possono dare e che probabilmente Il disordine delle cose saprà dare data la loro innata dote per le esibizioni dal vivo. Da tutto questo risulta un disco che non fa gridare al miracolo ma che è di certo ben riuscito e contiene promettenti spunti, un buon secondo album che rappresenta un passo in avanti per Il disordine delle cose.

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