Non è la prima volta che l’Italia si trova ad affrontare delle serie difficoltà economiche. All’indomani della seconda guerra mondiale c’erano macerie materiali e morali da rimuovere, eppure quella generazione è riuscita a ricostruire l’Italia inserendola nei paesi industrializzati dell’Occidente, garantendo benessere e prosperità diffusi. Con altrettanta forza gli italiani hanno saputo superare, senza tante limitazioni per le libertà democratiche, i terribili anni di piombo. E ancora, la terribile crisi finanziaria del ’92, la catastrofica fine della prima repubblica e, ancora, la decisione di entrare nell’euro e i sacrifici a cui gli italiani non si sono sottratti.
Oggi siamo qui, nuovamente in difficoltà, non ci sono macerie da rimuovere come dopo la guerra, o un nemico da combattere come nel periodo del terrorismo, eppure c’è un malessere diffuso, la percezione che le cose non vanno. Navighiamo a vista nell’impetuoso mare dell’incertezza, sotto un cielo plumbeo, e sembra che nessuno sia in grado di indicare una rotta; ciò che è peggio è che gli italiani sembrano stanchi, spossati, privi di ogni energia, incapaci di reagire.
L’incertezza della precarietà ci tiene legati all’immediato, eppure abbiamo bisogno di poter pensare, ancora, ad un futuro meraviglioso, un sogno per il quale valga la pena vivere.
In questo periodo, a cinque anni, ormai, dall’esplosione della crisi ci troviamo a ridefinire noi stessi, sulla base di un debito ridefiniamo i nostri comportamenti e il senso dello stato, in termini di tenuta dello stato sociale. E dobbiamo capire cosa fare per immaginare il futuro e vivere una vita adeguata ai tempi che sono in continuo cambiamento e non cadere sotto i colpi di mortaio di Spread e Pil.
E già, è il Pil che decide se siamo ricchi o poveri, eppure già nel ’68 Kennedy in un celebre discorso, diceva che Pil non misura «ciò che rende la vita degna di essere vissuta». Oggi importanti economisti nel mondo e in Italia riprendono questo concetto parlando di “economia buona” e di sostenibilità e introducendo il Bes tra gli indicatori, proponendo non di sostituirlo ma di affiancarlo e completarlo. Il Bes indica, infatti, che un modo diverso di vedere le cose è possibile, forse indispensabile. Che non tutto nella vita è riconducibile alla sfera economica. E che il benessere, specie in una prospettiva di lungo periodo, è qualcosa di molto più ampio e complesso. In Italia, la presentazione dei dati del rapporto Bes 2013, condotto da Cnel e Istat proietta scenari futuri in cui il progresso deve essere sostenibile affinché diventi una ricca eredità per le generazioni future e non un pesante fardello. Benessere, equità e sostenibilità devono diventare i nuovi termini di riferimento. Questo lo scopo del progetto Bes, che prevede 134 indicatori, suddivisi in dodici macro-dimensioni o domini: c’è il benessere economico ma anche l’ambientale, la salute, la sicurezza; poi istruzione e formazione, ricerca, conciliazione famiglia-lavoro e relazioni sociali; e ancora benessere soggettivo, patrimonio culturale, qualità dei servizi, politica e istituzioni. In fatto di conciliazione famiglia-lavoro, ad esempio, si vanno a misurare l’asimmetria nel lavoro familiare e il rapporto tra tasso di occupazione delle 25-49enni con figli in età prescolare e delle donne senza figli. Ma il messaggio più importante, nonostante si tratti di misure, è fatto di altro: speranza e ottimismo.
Come ogni iniziativa, anche questa deve necessariamente nutrirsi di partecipazione. Per questo, Bes, nel suo approccio condiviso, apre, ora, una fase di consultazione pubblica allargata ai cittadini, per raccogliere contributi soggettivi sulla percezione del grado di benessere sociale attraverso la definitiva delimitazione delle dodici dimensioni del benessere. Lo fa, attraverso un questionario, insieme al Forum del Terzo settore, al Progetto di Formazione dei Quadri del terzo settore e l’Università Tor Vergata di Roma, inserendosi nel dibattito sul “secondo Welfare”. Si tratta di un gesto di sussidiarietà quotidiana che richiede pochi minuti e nessun sacrificio, ma da cui potrà trarre beneficio l’intera comunità.

Il Bes, così come ha spiegato il Ministro Enrico Giovannini, “E’ solo il punto di partenza per realizzare un cambiamento culturale che, mi auguro, aiuterà a migliorare in concreto il benessere della generazione attuale e di quelle future”.

Il Ministro Giovannini si è detto poi “Profondamente convinto che la misurazione del benessere sia una opportunità per la società italiana per discutere quale futuro vogliamo costruire”.

 

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