La camera è stata chiamata a votare la fiducia al Governo sul decreto emergenze ambientali. Come già ampiamente previsto, passa la fiducia incoraggiata da un lapidario Franceschini (“Chi non vota la fiducia viene espulso dal Pd”, alla faccia delle lezioni di democrazia che impropriamente si sprecano all’interno del Parlamento nell’ultimo periodo): con 383 voti favorevoli e 154 contrari, la Camera da il via libera al “governo del Fare”.

Che sempre più spesso ci si trovi a discutere di decretazioni a tempi di record è un dato di fatto, un’azione che di certo più che creare un precedente (tradizione nostrana) lo conferma dato che, limitandoci a ciò che concerne il passato più recente, per la seconda volta in due mesi l’esecutivo chiama la camera ad esprimersi sulla propria credibilità. Diversi i temi urgenti indicati nei punti: l’Expo di Milano, misure per il rilancio dell’area industriale di Piombino (la celebre “questione Piombino” oggetto di ampio dibattito da parte di giornali e tv) e di sostegno per i centri gravemente colpiti da calamità naturali nei territori di Abruzzo, Molise, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto. Si passa dai terremotati alle fiere, dall’emergenza rifiuti all’alta velocità: un agglomerato disomogeneo di questioni direttamente proporzionale alla rapidità con cui si nominano i commissariamenti. Perché si sa, l’Italia è un paese di saggi, sottosegretari e commissari. Per i navigatori, i poeti e soprattutto i santi si rimanda a tempi migliori. Più che la celerità volta a scongiurare scadenze che avrebbero comportato una riesamina al Senato e che riduce il Parlamento ad un mero organo di ratifica piuttosto che di discussione, lo sconcerto maggiore nasce alla luce di un’analisi sui fatti indicativi espressi. Accostare l’assistenza alle popolazioni fortemente disagiate dal sisma alla realizzazione del terzo valico di Giovi assieme alla reiterata questione Torino-Lione, è già di per sé politicamente immorale, scorretto, soprattutto alla luce della disparità effettiva con la quale vengono trattate le questioni.

Da una parte, viene approvato un decreto in cui si accetta lo stanziamento faraonico complessivo di 6.200 milioni di euro (sebbene stornato in parte con lo spostamento di fondi da destinare alla ristrutturazione della rete ferroviaria nazionale), con delibere del Cipe, per la realizzazione di una linea ad alta velocità Genova-Rotterdam, che è divenuta priorità per lo sviluppo economico e commerciale del Paese proprio quando pare che, secondo quanto riportato da Le Figaro, la Francia intenda far cadere l’idea di una Tav Torino-Lione a causa di costi esorbitanti e ritenuti insostenibili per lo stato delle economie occidentali. Lo scenario di una galleria imponente, costosa e senza uscita sarebbe inquietante, oltreché drammaticamente comico. Ed ecco, dunque, che il nostro Paese non si attarda alla nomina dell’ennesimo commissariamento per valutare l’effettiva sostenibilità della realizzazione della grande opera ferroviaria.

Dall’altra, viene approvato un decreto in cui si discute di misure di sostegno a favore delle popolazioni colpite dalle calamità naturali (terremoti e alluvioni nello specifico). Sebbene alcuni dei punti possano risultare apprezzabili in materia di sgravi fiscali sulle imprese danneggiate da tali avvenimenti, discutibili sarebbero le modalità di assistenza concernenti la popolazione civile. Chiamare “contributo” la concessione di un mutuo venticinquennale (e che ricade sugli eredi) da estinguere presso la banca scelta dal richiedente secondo le procedure stabilite nella c.d. “cambiale Errani” è pressoché paradossale. Non vi sono effettive elargizioni, bensì prestiti che la Cassa dei depositi anticipa alle banche per accendere il mutuo del richiedente, il quale si impegna ad estinguerlo per la durata di 25 anni (la mancata estinzione fa ricadere gli obblighi sugli eredi). La banca si preoccuperà poi di restituire i soldi alla Cassa dei depositi.

La bontà di tali provvedimenti suscita un ovvio scetticismo alla luce di una domanda naturale: perché si sprecano, quasi a fondo perduto, somme di denaro ai limiti del quantificabile per finanziare imponenti opere sulle quali vige una sorta di disinteresse temporaneo da parte della UE e poi si offre un semplice prestito (con annesse obbligazioni) quando c’è da risolvere un dramma sociale quale può essere quello di chi a 60 anni, ed in un contesto storico funesto, si ritrova a dover ricominciare da principio proprio lì quando credeva di aver finito? Perché la necessità di questa grande, imponente opera ferroviaria proprio quando Saccomanni denuncia la fatica nel reperire le risorse (“Abbiamo difficoltà a reperire anche solo 1 miliardo”) volte ad impedire l’aumento dell’Iva e l’abolizione dell’Imu? Perché la politica sociale è sempre subordinata al prestigio internazionale?

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