Ciò che distingue un buon testo, sia esso giornalistico, divulgativo, o comunque legato all’informazione, sono le fonti e il loro utilizzo. Infatti buon autore può essere considerato chi mette i propri lettori in condizioni di verificare ciò che afferma proprio attraverso le fonti, oltre ovviamente ad essere magari particolarmente brillante nel loro utilizzo e innovativo nelle tesi esposte, nel caso vi fosse un’argomentazione. Fino a quando il supporto della trasmissione della conoscenza è stata la carta stampata, la garanzia di ciò che leggevamo erano proprio queste fonti e i loro autori. Sapevamo che chi produceva il testo e chi lo andava a diffondere, costituivano una certezza attraverso il lavoro di verifica.
Oggi internet ha afferrato il testimone dell’informazione e della divulgazione grazie alle sue caratteristiche che permettono costi bassissimi, velocità nel produrre i contenuti, ed estrema semplicità nella fruizione. Ha prodotto di conseguenza fenomeni di editoria libera, riflesso della carta stampata nel concept, ma radicalmente diversi nel funzionamento: essi sono, appunto proprio come internet, largamente accessibili e partecipati. Il caso più celebre è Wikipedia, sul quale vale la pena di soffermarsi come fenomeno di maggior successo e per questo il più efficace nel catturare comportamenti diffusi.
Nel settembre 2009 Umberto Eco ha affrontato brevemente l’argomento in un articolo dal nome “Ho sposato Wikipedia?”, apparso su L’Espresso, prendendo se stesso tra i campioni esaminati tra le voci dell’enciclopedia libera, constatando un’inesattezza, sempre rinnovata, delle informazioni. Eco ha offerto alcuni suggerimenti per ovviare ai problemi dell’enciclopedia con l’occhio di chi sa muoversi tra le fonti. Sostanzialmente suggerisce un confronto di più voci del web. Egli però, come anche afferma nell’articolo, non è un campione standard di internauta, ed inoltre considerando il livello di diffusione di Wikipedia, non è sempre semplice capire se un’informazione è derivata dal suo utilizzo.
La rilevanza della posizione in cui si trova Wikipedia nel diffondere un’informazione (posizione appetibile sotto molti punti di vista), la costante modificabilità delle sue voci, l’inconsistente e non definita presenza di revisione, fanno certamente di questa enciclopedia una cattivo modo di acquisire conoscenza. Certamente Wikipedia è importante sotto altri aspetti: può dirci molte cose sulla cultura “popolare”, intesa come prodotto culturale dalla partecipazione estesa a tutti e non accademico o scientifico. Può dirci come una comunità collaborando produce e utilizza la sua cultura abbattendo le gerarchie maestro-allievo, autore-lettore, insomma democratizzando la cultura. Democratizzando però in modo esasperato. Come ci insegna la pratica della democrazia, la garanzia delle libertà resta la definizione di regole. Perché ad un certo punto, con internet, si è diffusa questa idea della libertà secondo la quale la partecipazione debba essere totale ed “indisciplinata”? Proprio l’accessibilità di internet che offre la possibilità della partecipazione, quindi le sue virtù, rischia probabilmente di diventare controproducente e antidemocratica. Sulla rete è possibile esprimere opinioni, fare giornalismo, fare cultura, creando siti e blog attraverso i quali diffondere il materiale prodotto dalla persona. La domanda è: non staremo forse utilizzando nel peggiore dei modi il potenziale della rete nei casi come Wikipedia? Esistono competenze diffuse a seconda della formazione personale, e la garanzia che abbiamo acquistando il testo di un agronomo ad esempio, è che quest’ultimo sia un individuo formato in grado di fornirci delle informazioni di una certa precisione. Non avremo forse diritto alla stessa qualità sulla rete? L’equivoco sta forse proprio in questo, e cioè nelle modalità di creazione del materiale, nella scelta degli addetti. La grandezza di internet sta proprio, ribadisco, nelle possibilità di condividere e nell’accessibilità delle informazioni, da un punto di vista economico e pratico. Un utilizzo caotico spacciato per libertà rischia di essere un clamoroso equivoco in grado di produrre conseguenze abbastanza profonde, forse già in atto, essendo la rete in forte espansione e penetrata in tutti i settori, compresi quelli della formazione: l’opinione e l’errore entrano in un’enciclopedia e attraverso questa circolano come certezze. Inoltre potrebbe andare affermandosi il principio “gratis è peggio”, decretando la sconfitta dell’esperimento democratico quale può essere la diffusione appunto gratuita del sapere e dell’informazione, del quale internet dovrebbe essere il rivoluzionario mezzo e allo stesso tempo luogo di realizzazione.
Dovremmo forse cominciare a concepire modi migliori per sfruttare la novità che abbiamo a disposizione, cercando di aprire una fase di maturità della rete, maturando nella formazione i suoi cittadini in esponenziale aumento.
Partendo da una situazione semplice: quando un docente incarica i suoi allievi di fare una ricerca, e sa (perché non può non saperlo) che questi molto probabilmente si affideranno a internet, si preoccupa prima di trasmettere metodi per l’utilizzo delle fonti, in questo caso la rete e i suoi “scaffali”?

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