Oggi andiamo nella piccola provincia di Pordenone a conoscere Paolo Ciot, ritrattista e amante delle Polaroid…

Ciao Paolo, benvenuto su Il Malpensante. Parlaci un po’ di te.

Innanzitutto non sono un Benpensante 😉 … all’anagrafe faccio Ciot di cognome, ma – postino e parenti a parte – i più mi conoscono per il mio soprannome nato sui banchi delle scuole superiori: «Dizio». Sono un fotografo ritrattista, fin dal primo scatto. La prima volta che presi in mano una macchina fotografica avevo 6 anni, puntai  l’obiettivo verso i miei genitori. Ho quella mia prima foto incorniciata a casa. Quando non scatto mi muovo comunque, specie nel mondo della musica rock e dell’underground pordenonese, humus vitale ed ispiratore di molti miei lavori fotografici.

Nei tuoi scatti c’è qualcosa di magico. Quando ti sei accorto che la fotografia istantanea era il mezzo di comunicazione più adatto a te?

Nel mio modo di fotografare non c’è mai stata la ricerca della perfezione tecnica – che mi ha sempre dato particolare noia – quanto piuttosto quella di trasportare lo spettatore dentro un mio mondo narrativo, onirico e fumettistico, noir e decadente che corrisponde alla mia visione allegorica ed emozionale della realtà. Nei fotogrammi istantanei delle Polaroid, a volte sfocati, a volte bruciati e sviluppati male, ho trovato la giusta dimensione per raccontare «le mie storie». Ho trovato il supporto perfetto proprio perché perfetto non è.

Penso che le Polaroid mi assomiglino molto.

Con la fotografia istantanea, nel tuo caso la Polaroid, è necessario avere in testa l’immagine finale. Non si ha l’opportunità di correggere o ritagliare con Photoshop. Come nascono e come si sviluppano i tuoi progetti fotografici?

Amo da sempre la ritrattistica, ma le combinazioni tra idea della storia, scelta della modella, ricerca della location non sempre corrisponde a una graduatoria ordinata nella mia testa. Di solito sì, ma le suggestioni possono mischiarsi, invertirsi o sovrapporsi.

Le Polaroid non si possono modificare, si scatta ed esce la foto. Stop. Game over. È anche questa la loro grande potenza. Uscire di casa per un servizio, sapendo che le foto da fare sono solo 8 e non puoi sbagliare, comporta un grande sforzo di osservazione e di riflessione.

Da quando lavoro con le istantanee, è inevitabilmente cambiato anche il mio modo di approcciarmi al digitale… raramente scatto più di 100 foto, non ne sento più la necessità.

La fotografia per te è?

Un’esigenza. Un bisogno. Una valvola di sfogo. Una cosa che faccio esclusivamente per me…

La fotografia che ti piacerebbe scattare?

Vivo alla giornata, mi sveglio con idee nuove e le porto avanti finché non le concretizzo… ma non ho in mente «la foto delle foto» che doni la pace al mio ego. Mi accontento di avere sempre qualcosa da dire o di avere almeno «la battuta pronta» – fotograficamente parlando – che folgori l’attimo senza ripensamenti successivi.

Parliamo di attrezzatura. Qual è stata la tua prima macchina fotografica istantanea? E la tua preferita?

Dopo una decina di anni di fotografia digitale «tradizionale», nel 2013 ho iniziato a scattare i primi ritratti istantanei con una Fuji Instax 210. Poi con fierezza sono passato ad una Polaroid 600, tutta rosa, sulla quale campeggiava il logo delle Spice Girls, e da lì ho scattato praticamente sempre con le Polaroid 600.

Ora attendo impaziente solo la reunion delle Spice, perché, nonostante oggi possieda un’ampia gamma di macchine istantanee, quella rosa rappresentò il proverbiale primo amore mai scordato e sempre ancora preferito.

Ogni singola donna è una meravigliosa storia. La scelta della figura femminile nelle tue foto ha un significato particolare?

Sì, hanno – geneticamente e pragmaticamente più dell’uomo – il potere di creare, nutrire e trasformare. In termini di ispirazione non possono che influenzare in maniera significativa anche il mio percorso fotografico.

Nelle tue foto ho notato un forte richiamo alla natura. Spiegaci perché è quasi sempre protagonista.

Sono nato in Friuli Venezia Giulia, abito in Friuli Venezia Giulia, lavoro in Friuli Venezia Giulia. Il mio DNA è intriso di quella triplice denominazione che ne racchiude tutta la varietà naturale: mare, fiumi, laghi, campi in fiore, costiere, boschi, valli, canyon, torrenti, forre, vette, sentieri, steppe…

Non sono così forte da non lasciarmi influenzare.

Cosa ne pensi del rinnovato interesse verso la fotografia istantanea in questi ultimi anni?

Oggi, con le nuove tecnologie, si scattano tante foto quante ne sono state realizzate dall’intera umanità nel diciannovesimo secolo, immagini che non verranno nemmeno mai stampate e destinate presto a scomparire e non lasciare più traccia. L’avere una foto in mano, un oggetto vero e proprio, un pezzo unico come un quadro, appena scattato, diventa qualcosa di assolutamente prezioso. Tutto oggi è evanescente, etereo, sovraccarico di stimoli visivi. Siamo alla saturazione e stiamo tornando, per fortuna, all’antica quiete di un vero ricordo.

Cosa consigli a chi come te, ha deciso di investire la propria vita in questo tipo di fotografia?

Amo troppo la fotografia istantanea. Rischierei di deragliare e di non essere un posato dispensatore di meditati consigli.

Progetti per il futuro?

Pubblicare un libro con le mie Polaroid. Ma per ora è ancora tutto in alto mare. Devo sforzarmi di trovare le parole giuste per raccontarmi.

C’è tempo.

Grazie, Paolo, per averci concesso di entrare nel tuo mondo… Trovate Paolo e tutti i suoi lavori su pellicola istantanea al seguente link:

https://www.instagram.com/paolodiziociot/?hl=it

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