I Morphine sono stati una delle band più originali e innovative degli anni Novanta. Nati nel vivace ambiente musicale di Boston, si sono imposti con la loro miscela inimitabile di rock’n’roll, new wave, blues e jazz, suonata da una formazione inusuale: batteria, sassofono, basso elettrico (provvisto di due sole corde e suonato con la tecnica dello slide). Partendo dall’idea che si potesse rinunciare allo strumento principe del rock, cioè la chitarra elettrica, hanno sfornato cinque dischi in otto anni: di questi, almeno i primi tre (Good, CureforPain, Yes) sono gioielli imperdibili.
Un’esperienza esaltante, interrotta prematuramente dalla morte dello “stregone” Mark Sandman, stroncato da un infarto nel 1999 a Palestrina sul palco del festival Nel Nome del Rock. Sino al tragico epilogo, Sandman è uno dei personaggi più interessanti della musica a stelle e strisce: leader e malinconica voce dei Morphine, è l’autore degli splendidi testi e di vertiginose invenzioni con il suo slide bass; costruisce e utilizza strumenti “alternativi” (come il tritar, che assembla due corde di chitarra e una di basso); gioca con i critici musicali, che impazziscono nel vano tentativo di inserire i Morphine in un genere definito, suggerendo spassose definizioni per la musica del suo trio (“grunge implicito”, “un’esperienza baritonale”). È originario di Cambridge, importante centro accademico del Middlesex (è sede del MIT e della Harvard University), ma non proviene dall’ambiente universitario: prima di diventare celebre si guadagna da vivere come tassista (in un’occasione rischia la vita, ricevendo una coltellata al petto da un rapinatore) e come marinaio sui pescherecci. Il resto è sempre e solo musica.
Quando fonda i Morphine insieme al sassofonista Dana Colley, nel 1989, Sandman è già un’autorità indiscussa nella piccola galassia rock-blues del Massachusetts. Ha partecipato a diversi progetti nati in seno alla comunità bostoniana, tra cui The Hypnosonics e The Supergroup: in quest’ultima band suona insieme a Chris Ballew, futuro frontman dei The Presidents of the United States of America. C’è poi una band di importanza capitale nella storia “pre-Morphine” perché contiene, seppure in embrione, le idee che porteranno Sandman e compagni a brillare nel panorama indie: i Treat Her Right.
Si formano nel 1984, prendendo il loro nome dal titolo di una vecchia canzone di Roy Head & the Traits. Dave Champagne alla chitarra e Jim Fitting all’armonica a bocca compongono la line-up insieme a due futuri componenti dei Morphine: Bill Conway (eccellente musicista che suona un set di percussioni miste al posto della tradizionale batteria) e Mark Sandman, già allora incline all’uso di strumenti inconsueti. Anziché il classico basso elettrico, infatti, suona la lowguitar (chitarra baritona), strumento a sei corde impostato su una tonalità intermedia tra quelle del basso e della chitarra. Come se non bastasse, la passione di Sandman per gli strumenti custom lo porta già a “mutilarli”: la sua lowguitar infatti è provvista di sole tre corde, quelle gravi.
Nel 1986 danno alle stampe il primo LP, Treat Her Right: per gli appassionati dei Morphine, riascoltarlo oggi è come trovare un album di foto d’infanzia dei propri idoli. Il talento di Sandman è ancora acerbo, in evoluzione, ma nitido e inconfondibile. Impressiona, in particolare, la capacità di mescolare diversi generi e fonderli in un cocktail che profuma di metropoli, scorci notturni anni Cinquanta, donne intriganti incontrate ad orari improbabili. Il brano di maggior successo è quello che apre il disco, l’ipnotica I Think She Likes Me, che riassume in pochi minuti il sound del quartetto.
I Treat Her Right hanno un suono caldo, avvolgente, in cui più della chitarra sono la low guitar di Sandman e l’armonica di Fitting a imprimersi nella mente dell’ascoltatore. I loro brani sono un compendio della musica popolare americana del XX secolo: solide basi ritmiche blues e swamp, attitudine punk, atmosfere da jazz e swing che sembrano arrivare direttamente dalla prima metà del Novecento. L’amalgama è straordinario, mai forzato o fuori luogo. Senza esserne del tutto cosciente, Sandman ha già intuito una delle future strade del rock: lo sposalizio tra la furia del punk e il mood dei vecchi bluesman a lui cari. A cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo questa formula conoscerà una fortuna clamorosa (basti pensare al successo di gruppi come The White Stripes e The Black Keys), ma i Treat Her Right la propongono molto prima, in un’epoca dominata dai sintetizzatori e dai virtuosi della chitarra elettrica.
Il primo album del gruppo, inizialmente uscito presso una piccola label locale, ottiene un discreto successo in città e presto viene notato dalla RCA Records, che provvede ad esportarlo nel Regno Unito e a distribuirlo in tutti gli USA. Alcuni brani diventano molto richiesti, soprattutto nei circuiti delle radio universitarie, e nel complesso il disco ottiene delle vendite soddisfacenti: la loro fama, però, rimane limitata al giro della musica indipendente. Sandman non è il classico rocker assetato di gloria e sembra affrontare la propria carriera di musicista con grande flemma, senza smaniare per ottenere maggiore notorietà. Al punto che, ormai famoso nel periodo d’oro dei Morphine, manterrà sempre un profilo basso, lontanissimo dalla vita sregolata e sotto i riflettori di molti suoi colleghi di successo.
La carriera dei Treat Her Right prosegue come quella di una tranquilla e talentuosa rock-band: si fanno apprezzare per un’intensa attività live (in alcune occasioni sale sul palco insieme a loro DanaColley: i tre futuri Morphine insieme) e pubblicano altri due dischi. Tied to the Tracks (1988) conferma le ottime impressioni dell’esordio: i temi proposti due anni prima vengono sviluppati con coerenza, inserendo qualche nuova suggestione (notevole l’esperimento pop blues di Marie).
“Non proprio una blues-band; non esattamente spazzatura swamp e troppo stilizzati per il rock’n’ roll di base”: così il critico Ira Robbins descrive i Treat Her Right. Il loro aspetto più accattivante è proprio questo: non c’è verso di collocarli in un preciso filone musicale. Nei loro brani i generi non si alternano ma coesistono con naturalezza: questa sarà anche la cifra dei Morphine, che però sfoderano un suono ancora più originale e inafferrabile (complice il suono dello slide bass di Sandman, che si infila sotto pelle come un veleno e che non ha riscontri nella storia della musica rock).
Le vendite di Tied to the Tracks sono deludenti e, di fatto, la RCA scarica i Treat Her Right, considerati poco redditizi. Tre anni dopo viene pubblicato un terzo disco, What’s Good For You, caratterizzato da un suono sporco, come quello di un live in studio: lo pubblica l’etichetta Rouder Records di Cambridge. Poco dopo i Treat Her Right si sciolgono: Sandman fonda i Morphine (Conway lo raggiunge nel 1993, sostituendo alla batteria Jerome Dupree) e diventa la stella più brillante dell’indie rock.
Durante gli anni Novanta Sandman continua a suonare, oltre che con i Morphine, anche con i suoi vecchi compagni di viaggio: tornano sulle scene gli Hypnosonics per alcuni concerti, mentre i Treat Her Right vengono addirittura riuniti nel 1995 (Dave Champagne nel frattempo aveva fatto parte di diversi gruppi, tra cui i The The) e continueranno a suonare per tre anni, sino al definitivo scioglimento. L’ultimo atto della band è la pubblicazione, datata 2009, della raccolta The Lost Album, che mette insieme il materiale inedito dei Treat Her Right: b-sides, versioni dal vivo e demo dei dischi precedenti.
Riscoprirli a quasi vent’anni di distanza è un’occasione sia per gli amanti dei Morphine, che possono toccare con mano le origini di quella magnifica baritone experience, sia per chi non li conosce: potrebbe restare stupito nel constatare che gli anni Ottanta non sono solo pose ammiccanti, synth e lustrini, ma anche una stagione rock-blues intensa e appassionata, come il cuore fragile di Mark Sandman.

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Nato nel 1984, vive a Sant'Antioco (Sardegna sud-occidentale). Bibliotecario, scrittore e redattore; nel 2017 ha vinto la VI edizione del premio letterario RAI "La Giara"; ha pubblicato i romanzi "Il Grande Erik" (Rai Eri, 2018) e "Le case del sonno" (Edizioni La Gru, 2019), più la raccolta di racconti "Storie dei padri" (2019, autopubblicazione) e il racconto breve "Il giardino" (Libero Marzetto Editore, 2021). Ama la fantascienza distopica, il garage rock, i fumetti.

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