Elisa trasforma l’obiettivo in una sorta di bacchetta magica, capace di rendere suggestivo anche l’angolo più buio di una città desolata.
Le figure umane, incantevoli ed eteree, vengono accolte armoniosamente sia dai più temibili spazi urbani che dai più affascinanti ambienti naturali. I risultati sono incredibili, ciò che ne consegue è qualcosa di molto più sublime rispetto ad una scontata fotografia di moda.
Elisa ci parla di sé, dei suoi scatti e anche di quel periodo durante il quale gli shooting le hanno permesso di uscire nuovamente da casa…
Il Malpensante vi trascina nel regno fatato di Elisa Imperi.

Chi è Elisa Imperi?

Sono nata in Umbria nel 1988. Mi avvicino alla fotografia come autodidatta durante gli anni in cui frequento l’Università degli Studi di Perugia, dove mi sono laureata in pedagogia. Mi interesso sia di fotografia digitale che analogica, sviluppando e stampando le fotografie in pellicola. Ho iniziato a scattare legandomi soprattutto alla street photography; bastava uscire di casa e scattare per le vie della città, e solo successivamente è nata l’esigenza di riempire i paesaggi e gli spazi con una figura umana creando fotografie immaginate, sognate ed avvicinandomi anche alla fotografia di moda e al wedding reportage, che sono i due ambiti in cui mi muovo maggiormente. Mi piace molto leggere, viaggiare e conoscere luoghi e culture diverse dalla mia.

Nelle tue opere notiamo un connubio perfetto tra l’ambiente ed i soggetti fotografati. Come nascono queste fotografie? Ci parli di Inner Space e Ruines?

Probabilmente proprio perché ho iniziato semplicemente scattando qua e là tra paesaggi e città sento maggiormente l’esigenza di inserire i soggetti fotografati negli ambienti legandoli il più possibile ad essi. Inner Space risale a diversi anni fa, quando iniziai a collaborare con ragazze e modelle principalmente della mia regione tant’è che quasi tutti i paesaggi che compaiono in quelle foto sono abbastanza vicini a casa mia. Era una voglia di scappare dal mio quotidiano e gettarmi in un mondo parallelo diverso, in cui potevo immaginare ciò che volevo e crearlo attraverso la fotografia. Una sorta di “rifugio” diciamo. Per quanto riguarda Ruines invece emerge quella parte che riguarda un po’ il vagare per i luoghi abbandonati, oltre alla street e ai paesaggi spesso mi capitava di “infrangere le regole” e di entrare in un posto abbandonato non lontano da casa mia. Mi piacevano le geometrie e la luce, ed è stato bello scoprire poi altri luoghi. Ognuno di questi posti è diverso dall’altro ed è assurdo vedere come la natura si appropri nuovamente di un ambiente che è principalmente costruito da macerie e cemento. Ogni luogo spesso ha inoltre una sua storia, che da curiosa mi piace conoscere. Il fatto di fotografarli con un soggetto umano integrato tra le rovine è per il semplice fatto che mi piace immaginarci delle storie dentro queste immagini e fantasticarci dietro.

Il nottambulo Night – Desert City ci accompagna in ambienti desolati, la protagonista sembra spingersi inconsapevolmente nelle aree più azzardate della città. Come nasce questo progetto?

Mi ero ritrasferita per l’ennesima volta ricambiando città e vita, e stavolta era un cambiamento abbastanza pesante per vari motivi personali. Ero tornata nel mio “paesino” che comunque come tutte le piccole città ha i suoi pro e i suoi contro ma io vedevo maggiormente i contro! Facendo anche wedding reportage mi capitava (e mi capita) spesso di rientrare a casa a notte inoltrata e percorrevo le strade di questa città totalmente deserte. In realtà, specialmente durante l’inverno lo sono anche alle nove di sera! L’impressione di questa città fantasma dove quasi tutto sembra bloccato, dove tutti sembrano fermi nelle loro case ed il fatto che mi sentivo abbastanza sola immersa in questa nuova vita, mi hanno spinto a creare queste fotografie. Sono state un modo per uscire, conoscere nuovamente questa città, incontrare nuove persone come le ragazze che hanno indossato la giacca rossa e che sono venute in giro con me durante le notti silenziose in questo paesetto. Non è stato facilissimo realizzarle perché non tutti gli scorci andavano bene da un punto di vista della luce che trovavo e per questo uscivo molto spesso per cercare luoghi nei quali scattare, spesso con qualche ragazza che ho conosciuto e che avrebbe scattato con me. Quindi davvero posso dire che queste fotografie mi hanno aiutata ad uscire, nel vero senso della parola, da un periodo di chiusura che mi ero creata da sola.

Nell’etereo White Silence alcuni scatti riportano alla memoria le pose della divina Lyda Borelli in Rapsodia Satanica (1915); si tratta di una ricerca o di una semplice casualità?

In altri mi hanno fatto notare questa somiglianza, ma ammetto essere una semplice casualità. Quelle fotografie sono nate in quel che io chiamo il «periodo delle nebbie». C’erano quelle giornate in cui la nebbia avvolgeva ogni cosa intorno a me ed è stato quasi naturale uscire e fare quegli scatti. Sono venuti così d’istinto grazie ad un’amica che mi ha seguita nella mia “piccola follia” di girare tra il freddo, l’umidità e lo sporcarci tutte di terra. Queste cose però dalle fotografie non si vedono!

Nella vita ti occupi anche di video. Cosa riesci a trasmettere attraverso le arti visive?

In realtà resto sempre ancorata maggiormente alla fotografia rispetto al video. Ho avuto l’occasione di poter accedere ad un corso per videomaker tramite un bando di concorso indetto nella mia regione e di avvicinarmi così anche al mondo dei video, acquisendo tante conoscenze e competenze in più, ma la fotografia rimane il mezzo che preferisco. Sul cosa riesco a trasmettere non è facile rispondere, probabilmente andrebbe chiesto a chi guarda le mie fotografie e sarebbe curioso sapere le varie risposte che verrebbero date, al di là del «bella foto» o «brutta foto», ovviamente. Dal mio punto di vista posso dire che mi fa star bene fotografare. Non è una cosa semplice da spiegare a parole purtroppo, la fotografia è un po’ la mia valvola di sfogo.

In generale le tue fotografie ci rimandano a delle ambientazioni da favola, le modelle stesse sembrano incarnare i personaggi femminili delle fiabe che ci raccontavano da piccoli. Cosa ne pensi?

Credo che a volte il rimando ci sia realmente. Specialmente per le fotografie ambientate in mezzo ai boschi o alla natura l’impressione di un’atmosfera “fatata” può esserci. Ho avuto la fortuna di vivere in questa bella Umbria circondata dal verde, di poter girare per luoghi qua vicino in cui ci sono davvero delle piccole leggende o delle fiabe che si tramandano o che prima o poi una nonna ci ha raccontato, e credo che in fotografia il percorso personale di ognuno determini in alcuni casi, anche non volendo, quello che si va a creare.

Se dovessimo mandarti in un posto lontano e ti lasciassimo a disposizione la possibilità di scegliere una sola lente da portarti dietro, che lunghezza focale sceglieresti?

35 mm. Da quando l’ho acquistato me ne sono innamorata e se potessi userei solamente lui!

Per saperne di più visita elisaimperi.com oppure la pagina Facebook

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