Quando arrivi nel distretto di Banda, nello stato indiano dell’Uttar Pradesh, vieni travolta da un senso di ineluttabile tragedia, un sottile presentimento di qualcosa di drammatico che si sta per abbattere su di te. C’è un’aria calda e ferma che forse dovrebbe ricordarti di quando da piccola, nei pomeriggi d’estate, sporgevi la testa dal finestrino della macchina per sentire addosso l’aria tiepida e gonfia di odori estivi. Ma sei in Uttar Pradesh, uno degli stati dove la violenza sulle donne è più diffusa. E il senso di disagio che provi deriva dalla consapevolezza che mentre parli, compri una bottiglia d’acqua, ti lavi le mani con un pezzo di sapone che si sfalda, c’è una donna che viene picchiata, violentata, uccisa. Non in un paese lontano e con un nome difficile ma nella casa con i muri un po’ scrostati proprio di fronte a te. O nel retro della baracca di alluminio e stracci dove stai comprando l’acqua.
Alla portata del tuo occhio c’è almeno una donna che subirà una violenza fisica, psicologica o sessuale da qui a domani.

Ma c’è in Uttar Pradesh una donna che partendo dal niente ha invertito la tendenza. Sampati Pal Devi, venduta in sposa a dodici anni al vecchio proprietario di un carretto di gelati, cinque figli partoriti prima di compiere vent’anni, analfabeta.
Un giorno, per strada, vede un uomo che picchia una donna. Una scena comune, che ha visto tante volte e che ha provato sulla propria pelle. Ma quello che la colpisce oggi, guardando questa scena dall’esterno, è che la donna non piange e non grida come le attrici dei film che ogni tanto va a vedere nel cinema del villaggio, questa donna singhiozza in silenzio. Essere picchiata è così usuale che è inutile fare scenate: è sempre successo e continuerà a succedere; la donna è come un asino, se non cammina, se raglia, se scalcia, lo si frusta il doppio.
Sampati Pal torna a casa, ci pensa tutta la notte e il giorno dopo torna dall’uomo con un gruppo di amiche armate di bastoni di bambù, i lathi, e gliele danno di santa ragione. Era la prima volta nel distretto di Banda e in tutto l’Uttar Pradesh, che una donna organizzava un gruppo di donne -un branco, nella sua connotazione più fraterna e naturale, un branco che non caccia ma difende- per ribellarsi contro un’ingiustizia perpetrata da un uomo. E da allora non ha mai smesso.
Negli anni il gruppo è cresciuto -oggi sono circa 200.000 donne-, ha iniziato ad essere riconosciuto e rispettato, si è guadagnato il nome di Gulabi Gang (Gulabi significa rosa in hindi) per via del sari rosa che tutte le donne portano e si è espanso a macchia d’olio in tre stati, l’Uttar Pradesh, il Bihar e l’Haryana. Sampati Pal Devi ha anche fondato una scuola frequentata da 600 bambini, 400 dei quali sono femmine. Quando la si incontra per strada ha l’aspetto di una donna normale, un sari rosa, il binthi sulla fronte, i capelli raccolti. Nonostante la macchina di proporzioni gigantesche che ha messo in moto e ha spinto con la forza delle sue braccia è rimasta una persona lucida e dignitosa, ti trafigge con due occhi neri come la notte e ti dice con un sorriso: “Per voi Europei è difficile capire cosa significa avere paura in ogni momento della propria vita: del proprio marito, della propria famiglia, degli uomini per la strada. Solo educando le nuove generazioni possiamo cambiare il sistema. Io non ho meriti, ho visto l’ingiustizia dove le altre vedevano il proprio destino, ma il fatto che così tante donne mi abbiano seguito mi fa capire che anche per loro sotto quella apparente normalità ribolliva la sete di giustizia. Insieme abbiamo dimostrato che unite si vince e che anche le cose che sono rimaste immutate per secoli possono cambiare, e il cambiamento è nelle nostre mani”.
Ma oltre alle battaglie con il lathi, Sampati Pal ha dovuto combattere una guerra più diplomatica, con le autorità locali: in una società ancora fortemente basata sulla differenza tra caste e in un sistema capillarmente permeato dalla corruzione, convincere le forze dell’ordine a prendere le parti di un gruppo di donne non è stato facile. Prima sono arrivate le botte, poi le minacce, poi di nuovo le botte. Poi però la goccia si è dimostrata più tenace e resistente della roccia e finalmente la Gulabi Gang ha vinto. Oggi lavorano al fianco delle autorità per prevenire e segnalare i crimini contro le donne e dimostrano a tutto il paese come l’unione faccia davvero la forza.

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