In questo periodo nutro una profonda curiosità verso i “libri d’artista”, così ho chiesto a Francesca Di Sopra di accompagnarmi in questo mondo variopinto.

Francesca sa molto sull’argomento e ha passato gli ultimi anni a creare quello che a mio avviso è un piccolo capolavoro: “UNO SCOMODO, INOPPORTUNO, INVADENTE COMPAGNO DI VIAGGIO/Mrs. J. PARKINSON. AUGURI PAOLO!!”

Cominciamo con qualcosa di molto semplice: ci racconti un po’ di te?

Sono nata a Pordenone in un certo anno e ricordo in modo molto sfumato la sera del terremoto del ’76. L’arte è entrata nella mia formazione già da piccola. Intorno al lessico famigliare, entravano racconti del fratello di mia nonna materna – Toni Benetton, stimato scultore veneto – che si intrecciavano con la pittura di mia zia Cosetta. Il mio interesse per la fotografia lo devo però alla figura di mio padre. Fotografo per passione, aveva adibito a camera oscura una stanza della casa dei nonni, dove quasi ogni domenica, nella stagione invernale, sviluppavamo negativi e stampavamo in bianco e nero le fotografie di famiglia e di montagna. Quest’opera domenicale la trovavo magica e noiosa allo stesso modo perché mi appariva così lontana dalla vita dei compagni di giochi della mia età: tutto mi sembrava così retrò. Oggi considero un valore quell’esperienza, concorre alla formazione dell’idea che ho dell’immagine oggi.

Negli anni a seguire il mio interesse si è concentrato sulla grafica e sull’illustrazione, e parallelamente alla psicanalisi, al teatro, al cinema, in un’ottica di contaminazione e ricerca. Oggi la mia ricerca artistica si basa sulla metafora, sul significante e sul significato della parola e dell’immagine. Mi interessa la differenza come singolarità, il punto di svolta. Sono ossessionata da quello che sembra.

Nelle mie immagini tendo a suggerire ed evocare, piuttosto che descrivere. La documentazione esplicita nella narrazione non è oggetto della mia ricerca. Cerco di trovare in ogni aspetto delle cose il varco, il punto aperto, l’alterità, spesso rappresentando il concetto attraverso suggestioni o cercando di suscitare curiosità rispetto al significato dell’immagine socialmente condivisa.

Ogni aspetto della vita è interessante; non c’è nulla da scartare, tutto può essere raccontato e ricreato, anche la memoria non è una base sicura ma procede attraverso frammenti e metafore. Attraverso questo metodo associo cose diverse, cerco di far comunicare più elementi tra loro per dare il significato che voglio ottenere. Utilizzo un archivio in continua crescita di documenti trovati per creare opere d’arte autonome.

Che rapporto hai con la fotografia?

Siamo in un’epoca – dicendola alla Fontcuberta – di eccesso, di incontinenza d’immagini, dove il nostro occhio è saturo e forse il linguaggio stesso sta subendo una trasformazione sostituito dalle immagini dell’Homo Photographicus (vi invito a leggere la “Furia delle immagini”, note sulla postfotografia di Joan Fontcuberta: un testo eccezionale che tutti i fotografi dovrebbero leggere).

Per questa ragione anche etica, il fotografo e l’artista sono chiamati a cercare di fare un’opera di resistenza, non morale e di vecchio stampo ma di ecologia dell’immagine, di resistenza quasi politica.

Bisognerebbe chiedersi quale sia il nostro contributo nella società. Per questo bisogna studiare i cambiamenti nell’era in cui stiamo vivendo e non farci tentare dal flusso in cui siamo immersi, ma tentare per lo meno di trovare una chiave diversa.

Ora, quando fotografo o quando uso l’immagine cerco di chiedermi sempre il perché di tale gesto, cercando, anche se con una certa cura estetica, di svincolarmi dalla facile risposta del bello e dell’armonico come fine ultimo.

Come me, anche tu abiti nella sperduta provincia di Pordenone. Molti considerano questa città un ambiente ostile e poco vivibile per ogni forma d’arte. Sei d’accordo con questa linea di pensiero?

La città di Pordenone ha dato i natali a molti talenti. Nel campo della musica sopratutto. Ci sono stati anni di grande fermento culturale e molti giovani dell’epoca hanno dato semi che poi si sono sparsi in giro creando icone ed esempi da seguire. Chi ha vissuto l’adolescenza negli anni ’80 e ’90  lo sa molto bene.

Non credo che la città di Pordenone sia ostile nei confronti di qualunque forma d’arte, ma bisognerebbe allargare le disponibilità da parte delle istituzioni ad altre forme culturali molte già comunque consolidate da anni e con professionisti nel campo. Detto questo però tutto dipende sempre da te e dalle relazioni che riesci a creare. Forse quello che manca un po’, è una forma di collaborazionismo e comunicazione tra più realtà.

Al centro del tuo mondo troviamo la parola “libro d’artista”. Puoi raccontare ai nostri lettori di cosa si tratta?

Il libro d’artista è una forma d’arte che vuole concettualizzare, di solito attraverso la forma di libro (ma non solo), l’idea che si vuole esprimere. Questa forma è espressa attraverso l’uso di materiali pensati come parte stessa dell’opera. La forma e il concetto vanno di pari passo.

Questo si evince dalla scelta di materiali tattili, grammature della carta, colori e tipologie, architetture e geometrie pensate per far comunicare i due aspetti dell’opera: l’idea e la forma. Il libro d’artista può essere un foto-libro o avvicinarsi ad altre forme d’arte come la pittura e l’illustrazione.

Ci parli della tua opera prima? Il titolo racconta tanto e arriva dritto al cuore…

Il mio libro d’artista è il risultato di un processo iniziato idealmente molti anni fa e concretizzato quando ho avuto la fortuna di incontrare il giusto dispositivo. L’incontro con l’artista visiva Giulia Iacolutti (Premio Marco Bastianelli 2020 come miglior libro d’artista “Casa Azul”) è stato determinante. Artista e fotografa friulana, ritornata in patria dopo anni in Messico, aveva avviato un corso presso il circolo fotografico friulano di Udine. Il tema del corso era “Raccontami una storia”. Dopo pochi incontri avevo già capito che sarebbe nata una lunga e fruttuosa collaborazione.

Dopo averle espresso quale fosse il mio progetto narrativo, abbiamo iniziato un lungo lavoro durato più di due anni e mezzo che mi ha portato a vedere finalmente alle stampe (nel marzo del 2020) il mio libro: “UNO SCOMODO, INVADENTE, INOPPORTUNO COMPAGNO DI VIAGGIO: Mrs J. PARKINSON. AUGURI PAOLO!!”.

Questo libro racconta la storia di una scalata, un percorso, un movimento incoordinato, tra muscoli volontari e discinesie. È la storia di un uomo, Paolo (mio padre), colpito a soli 48 anni da una malattia neurodegenerativa, il Parkinson, che non gli permetterà più di fotografare, di scalare, di raggiungere le sue montagne. Sostituisce gli accurati album fotografici di fiori e vette raggiunte, con corposi raccoglitori su cui annota metodicamente ogni sintomo rilevato, ogni tremore, ogni cambiamento. È la storia di un uomo che cammina e scruta, analizza e verifica, cade e si rialza, ma le sue gambe non lo portano più dove vorrebbe andare. Ho voluto sintetizzare con questo libro i 29 anni trascorsi al suo fianco con la malattia, rendendo poesia la sua scalata più difficile.

Per questo lavoro ho fatto un’opera di ricerca e di riciclo di tutto il materiale che lui stesso aveva lasciato. Molto materiale rispetto alla sua esigenza di dominare la malattia attraverso diari e centinaia di tabelle che redigeva come faceva quando si preparava a scalare le sue amate montagne. Ho esercitato una pratica di adozione del suo materiale superando la tentazione del piacere di fotografare io stessa, narrando in un modo inedito un’idea che avevo in mente da molti anni e che non si esplicava con l’atto diretto del fotografare mio padre nella sua disabilità.

Il titolo, che credo sia una delle prime cose da scegliere per un progetto, mi è stato “dato” direttamente da uno dei suoi diari dove raccoglieva la sua storia clinica. Già dal titolo si evince il contenuto del libro e il tema del percorso, del viaggio e delle difficoltà che si sarebbero incontrate.

Molto spesso, come in molti altri contesti, c’è un punto chiave che fa da genesi a un’idea. Nel mio caso, guardando i suoi elettroencefalogrammi, ho notato come richiamassero le creste delle montagne, le sue amate montagne che potevamo ammirare dalla soffitta della sua casa di Udine. Quest’associazione visiva mi ha aiutato nella narrazione e ha fatto da colonna sonora in tutta la grafica del libro.

Quali materiali sono stati impiegati per la realizzazione del tuo libro?

Come dicevamo prima, nel libro d’artista la forma deve andare di pari passo con il tema proposto. Dunque, l’architettura del libro scelta è stata il leporello. In questa tipologia di libro a fisarmonica, ritorna visivamente il tema dell’elettroencefalogramma e le creste delle montagne ad andatura a zig zag. Sono stati usati più tipi di carta e il leporello ha una grammatura tale che gli permette di stare in piedi se aperto. Questo gli conferisce un uso anche oggettuale, fisico, non solo come un libro prettamente sfogliabile.

Abbiamo scelto una tipologia di carta che più si avvicinava all’ingiallimento naturale delle fotografie della montagna di mio padre che dopo un lungo editing risalivano agli anni ’60. Per le fotografie a colori ho adottato una modalità che risaliva alle prime immagini a colori stampate nei libri di fotografia degli anni ’50-’60 dove, per ragioni di stampa, non potevano essere stampate direttamente sulla carta (come il bianco e nero) ma a parte e poi incollate separatamente longitudinalmente. Questa scelta è stata fatta per ragioni stilistiche ma anche perché questi libri erano i preferiti da mio padre.

Il libro fatto a leporello si sfoglia da due parti (questo dipende dalla scelta del lettore). È bifronte e contiene nella parte dell’elettroencefalogramma un inserto rilegato manualmente da un filo rosso. Quest’atto artigianale simboleggia l’unione tra la sua parte attiva, la scalata in montagna, e l’altra scalata, attraverso la malattia del Parkinson.

La copertina del libro è stata realizzata cercando di riprodurre lo stesso materiale tattile dei suoi quadernoni.

Recentemente hai presentato la tua piccola opera d’arte, come ha reagito il pubblico?

Il mio libro è stato stampato nel marzo 2020, data direi storica e significativa. Date le difficoltà del momento che stiamo vivendo, ho avuto comunque l’opportunità di presentarlo alla libreria Martincigh di Udine nel luglio di quest’anno, durante gli incontri di arte estemporanea chiamati “Eventi S.O.Spesi”. È stata una bella opportunità che mi ha sorpreso poiché le 10 copie numerate che avevo stampato sono andate sold out nella stessa sera. Non mi aspettavo questo risultato ma sono stata felice di avere avuto l’opportunità di presentare il mio libro attraverso un momento di dialogo e confronto che spesso un’esposizione fotografica permette poco.

Hai qualche consiglio da dare a chi ha deciso di avvicinarsi al libro d’artista?

Il libro d’artista ti fa riconsiderare l’aspetto del tempo! Concetto importante in fotografia e nell’epoca in cui la fotografia si è inserita. Bisogna saper aspettare.

“Questa pausa, questo viaggio nel tempo, questa uscita dall’attualità… li rivendico come un atto artistico in sé…” [cit.]

È metafora del percorso stesso del mio libro, ma ciascun libro d’artista abbisogna di molto più tempo di quello in cui siamo aimè abituati ora, attraverso l’epoca dell’eterno presente nell’estetizzazione fotografica della quotidianità. È un lavoro di mesi, di anni a volte di molti anni. Sei disposto a intraprenderlo? Credo che ne valga la pena in termini artistici ed autoriali, per non fermarci solo alla mera produzione e consumazione di immagini di cui quest’epoca ci ha abituati.

Cosa molto importante è avvalersi di collaboratori qualificati, scelti secondo le proprie attitudini certamente, ma che concorrano alla realizzazione nel modo ottimale. Lavorare in team è molto importante perché produce idee e confrontarsi con idee diverse è essenziale.

Cosa ci aspetteremo da Francesca in futuro? Stai già lavorando a nuovi progetti?

Parlare di futuro in questo momento è fondamentale per generare nuovi entusiasmi e credo che l’artista in genere debba dare il suo contributo a nuove visioni del mondo. Io continuerò a portare avanti il mio libro cercando di farlo conoscere, suscitando interesse anche attorno a questa forma d’arte: il libro d’artista. Nel prossimo futuro lo presenterò nella mia città, Pordenone, quando le condizioni della pandemia lo renderanno possibile.

Ultimamente io e un’altra collega stiamo portando alle stampe un progetto fotografico che stiamo seguendo da un paio d’anni. Il titolo ancora non ve lo svelerò, ma si tratta di un lavoro su un luogo marino molto frequentato dalle nostre parti. Curiosi?

Ringrazio Francesca per averci donato le sue preziose conoscenze e per averci fatto conoscere più a fondo il suo libro. Potete contattarla e ammirare i suoi lavori su Instagram.

Progetto: Francesca Di Sopra

Direzione artistica: Giulia Iacolutti

Impaginazione grafica: Valentina Iaccarino

Fotografie: Paolo Di Sopra

Testi: Paolo Di Sopra, Francesca Di Sopra

Traduzioni: Giada Da Ros, Christopher Hart

Stampato in Italia nel Marzo 2020 da Grafiche Filacorda, Udine

Dimensioni: formato libro chiuso 150 x 235 mm; formato libro aperto 320 x 235 mm; formato Leporello chiuso 148 x 230 mm; formato Leporello aperto: 1480 x 230 mm (10 ante da 100 mm cad.); formato inserto chiuso 130 x 180 mm; formato inserto aperto: 260 x 180 mm (copertina rigida)

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