Uffici, banche e assicurazioni, intervallate solo dalla quiete di qualche campo di mais. Forse gli ultimi, prima che il “progresso” edilizio e finanziario li spazzi via. Ci sono anche i big four in questo tripudio di giacche, cravatte, suv e 24 ore.
Tutto calmo, silenzioso, ordinato, pulito.
Non è un’utopia e nemmeno una distopia: siamo in Lussemburgo. Nel Granducato, fondato nel 1815 nel contesto dell’Europa post-napoleonica del congresso di Vienna, convivono l’attaccamento alla tradizione aristocratica, tipico in tutto il Benelux, e l’europeismo apolide. Un paese formato quasi per metà da expats (spesso “patria di passaggio” dove non si resta più di due o tre anni), dove l’immigrazione non è una paura ma una risorsa; si tratta però esclusivamente di stranieri aventi un lavoro in loco, quasi sempre qualificato e ben retribuito, mostrando che i criteri di accesso nel Granducato sono stringenti, come mi conferma un’avvocatessa penalista che si occupa di immigrazione irregolare e abusi polizieschi. Ciononostante multiculturalismo e multilinguismo caratterizzano il paese di Robert Schuman, facendone un esempio per tutto il continente. Sembra essere la realizzazione di quegli ideali di pace, benessere e cooperazione che animarono i firmatari dei Trattati di Roma nel 1957. Qui esiste l’identità europea, caratterizzata non tanto da limiti e assoluti, quanto piuttosto dalla permeabilità etnica, linguistica (si parlano correntemente inglese, francese, tedesco e luxemburgeois) e religiosa (un sales manager del luogo afferma di trovarsi a contatto con 50 nazionalità solo nel suo ufficio). Tale realtà, che certo non si nutre di solo “cosmopolitismo”, è voluta, creata e supportata da un governo consapevole che lavora per migliorare i diritti sociali, già ottimi, dei propri cittadini. Disoccupazione molto bassa (5% circa la generale, 14% circa quella under 26), presenza giovanile importante, emigrazione più voluta che necessitata (dagli attuali 602.000 abitanti il governo vorrebbe passare a oltre 700.000 in pochi anni), buona redistribuzione del reddito (salario minimo 2500 euro lordi circa, reddito medio intorno ai 60.000 euro; disparità di retribuzione tra uomini e donne quasi inesistenti, con un 5,4% di differenza contro la media europea di 16%), poca delinquenza e servizi pubblici efficienti. La sicurezza colpisce, chi abita qua da anni parla di “non aver mai visto un furto”, di “tornare a casa tranquillo anche in piena notte” e di “non dover fare attenzione”. Per raccontarvi il funzionamento di questo piccolo paese, anche se un po’ monotematico nei settori della finanza e della burocrazia (interessante a tal proposito la battuta di un amico, impiegato in Lussemburgo da tre anni presso una compagnia di consulenze finanziarie, che quando gli chiedono: “Come mai in Lussemburgo?”; risponde: “Per il clima, ovvio”), uso l’esempio dell’autobus.
Quando salite su un bus in Lussemburgo dovete tenere a mente che dal 1° gennaio 2020 il trasporto pubblico (treni inclusi) sarà completamente gratuito, estremamente efficiente (contro la logica della necessità delle privatizzazioni) e che l’autista che vi porterà a destinazione parla 3 o 4 lingue e guadagna più del doppio di quanto potreste immaginare.
Lo so, fa rabbrividire.
La civiltà.
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