Nelle analisi e nei grandi ragionamenti, viene spesso trascurata una chiave di lettura per me fondamentale per capire le anomalie politiche italiane: il dramma antico, psicologico, antropologico, filosofico, cosmico che la sinistra italiana si porta addosso fin dagli albori della Repubblica.
Vedere Bersani suicidarsi piuttosto di correre un rischio ha fatto scalpore, sì, ha riacceso l’attenzione, eccome, ma presto la ricerca di pagliuzze negli occhi altrui riprenderà la scena, e tutti ricominceranno a lamentarsi di quanto fa schifo Berlusconi o di quanto è demagogico Grillo. La vera questione torna sempre sullo sfondo, ed è questo il problema.
Senza dilungarmi in ragionamenti, provo contribuire spiegandomi con un’immagine, un racconto.

Questa è la storia di un numero 12.
Nel calcio, lo sapete, il destino dei numeri 12 è intrecciato e spesso intercambiabile con quello dei numeri 1, ma non è questo il caso.
Questa è la storia di un numero 12 che è sempre stato numero 12, fin dalle giovanili.

In quanto tale, numero 12 era una riserva e vedeva sempre poco il campo. Accettava la situazione, da persona composta e disciplinata qual era, ma non era d’accordo con i giudizi dell’allenatore e dei tifosi, li trovava profondamente sbagliati. Tutti giudicavano numero 1 più affidabile e solido, ma secondo il suo punto di vista era solo un buzzurro violento, un camionista appena in grado di distendersi tra i pali. Restava intimamente convinto di essere lui il più forte, e se solo avesse avuto l’opportunità di dimostrarlo li avrebbe fatti tutti ricredere.
Ogni tanto giocava qualche amichevole, ma in quelle occasioni non riusciva a sentirsi motivato. Diceva a sé stesso e agli altri che poteva esprimere il suo vero livello solamente in occasione di gare ufficiali, che le altre non lo stimolavano.
Alcuni compagni lo prendevano in giro per questo, ma per gli altri la sua grande disciplina negli allenamenti e le parole sempre pacifiche e intelligenti lo rendevano una presenza di primo piano all’interno dello spogliatoio. Addirittura capitava che il mister lo consultasse in merito ad alcune decisioni, e gran parte dei tifosi lo apprezzava.
Il suo era un caso unico, un’anomalia, godeva di più considerazione di quanto non ne avesse mai avuta un numero 12 e lo sapeva, pur continuando a porsi insistentemente come un semplice calciatore in lotta per il posto.

I campionati si susseguivano, senza infamia e senza lode, e numero 1 proseguiva con la sua tenuta fisica incredibile. Mai un infortunio, mai una squalifica. E numero 12 sempre lì, ad aspettare la sua occasione, paziente come solo lui riusciva ad essere.

Una domenica però, durante una partita di campionato, numero 1 sbatte contro un palo della porta. Sembra acciaccato, e così il pubblico prende a chiamare a gran voce numero 12: pare finalmente giunta la sua occasione. Ma si tratta di un falso allarme, il titolare si rialza subito e numero 12 entra in campo solo per portare al rivale una bomboletta di ghiaccio spray.
L’occasione quindi sfuma ma il pubblico applaude comunque, in omaggio alla correttezza e al grande spirito di squadra di numero 12.
Al ritorno in panchina, alcuni compagni di squadra scherzano dicendo che alla fine non giocherà mai, altri ridono dicendo che se arrivasse il momento, numero 12 non saprebbe che fare. Lui sta allo scherzo e si prende un po’ in giro.

Gli anni passano, la squadra invecchia, e i risultati si fanno sempre più scarsi. Anno dopo anno la zona retrocessione si avvicina, fino a che un giorno la resa dei conti arriva: un decisivo quanto imbarazzante spareggio salvezza. Quella squadra dal passato stellare ha un piede in serie B, che vergogna.
La vigilia della partita è tesa, sanno che è l’ultima possibilità, e numero 12 è tra i pochi che si incarica di alleggerire gli animi dello spogliatoio.
Arriva il giorno dello spareggio e l’incontro comincia, agguerritissimo. Dagli spalti i tifosi sono imbufaliti e non stanno calmi un attimo.
A metà partita ecco l’episodio che decide la gara: palla lunga avversaria, numero 1 che corre in uscita e scontro durissimo con l’attaccante avversario. Grida bestiali, i corpi si travolgono e si vede la gamba del portiere aprirsi per una frattura multipla esposta. Terribile.
I soccorsi si mobilitano per i primi interventi sul luogo, in mezzo allo sconvolgimento generale.
I compagni sono tutti provati, ma in ogni caso sanno che non finisce qui, che la partita deve continuare.
Si riprendono, pensano tutti la stessa cosa e cercano numero 12.
È arrivata la sua grande occasione!
Si guardano intorno, lo cercano tra le sedie morbide della panchina, ma non c’è.
È andato a prendere il ghiaccio spray.

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