Questo articolo è apparso in data 6 Maggio 2013 sul quotidiano “El Paìs” con il titolo originale di “El arte de la soledad”, scritto da Sergio Delgado Salmador. Traduzione Giada Petrucci.

L’occhio di un fotografo non è paragonabile a quello di una qualsiasi persona. Vedono un qualcosa in più rispetto agli altri. Impostano la fotocamera e click. Nel caso di Robert Götzfried (Lindau, Germania, 1976) questa capacità trova le sue basi nelle linee e forme architettoniche che, secondo lui stesso, restano in silenzio in spazi pubblici di fronte alle masse che le frequentano. Nella sua ultima pubblicazione, il tedesco mostra fotografie di piscine senza bagnanti, nelle quali si può notare un’importante simmetria.

“La maggior parte dei luoghi che fotografo sono frequentati sempre da grandi quantità di persone: stazioni, stadi, piscine…” dice il laureato in disegno grafico e fotografia, “la gente tende a non apprezzare l’architettura, e quindi nelle mie foto questi posti sembrano come mai visti, in realtà”. In questi luoghi regna il rumore, il traffico, la gente, e in generale una mancanza di pace, che sono, in definitiva, il contrario di ciò che trasmettono le immagini di Götzfried. Una pace assoluta. “quando uno pensa alle piscine si immagina bambini che gridano e giocano con l’acqua, non sono ambienti tranquilli”, commenta con una voce pacata dall’altro lato del telefono.

L’ispirazione di questi scatti arriva al fotografo sempre nei momenti più inopportuni: un viaggio in metro, una passeggiata al parco, un documentario alla TV, etc. “Una volta avuta l’idea inizio a fare ricerche di luoghi che potrebbero essere interessanti, e, o vado direttamente lì o cerco qualcosa su internet”. Per fare questi tipi di scatti, Götzfried ha solo due opzioni: o svegliarsi all’alba o lavorare di notte per evitare il transito delle masse. “Per i lavori nelle piscine mi svegliavo alle 5:00 del mattino perché aprivano alle 8:00. Era necessario che tutto fosse pulito e l’acqua limpida. Per le stazioni, invece, aspettavo più o meno la mezzanotte, quando passano treni ogni circa 20 minuti”. Quando si trovava lì, metteva la fotocamera sopra la piattaforma così che dava l’impressione di stare proprio sui binari. Il fatto è che così facendo non solo rischiava la vita,ma anche un arresto in Germania. “No, no, lo faccio in altri paesi, lì mi metterebbero subito in carcere!”

Né gli orari né le complicazioni burocratiche hanno fermato la fortuna e l’energia dell’artista, ispirato dal giapponese Hiroshi Sugimoto, e dalla tedesca Candida Höfer. “Quello che faccio non è una novità assoluta. Faccio qualcosa simile a loro anche se leggermente diverso. A me piace l’estetica dei luoghi che fotografo, che anche se non sembra hanno qualcosa di diverso dagli altri posti, sono un qualcosa che nessuno vede” nel suo caso, Götzfried preferisce fotografare edifici colossali o comunque sempre grandi opere costruite dall’uomo piuttosto che la bellezza della natura.

stazione della metro di St. Martins Platz, Monaco

Abituati ad essere sorpresi da fotografie di tutti i tipi con fuochi e angoli impossibili, Götzfried mette in gioco la simmetria. “Penso che abbia sempre attratto l’essere umano, ed è assolutamente vero che se ti imbatti nella simmetria ti rendi conto di quanto in realtà è complicato raggiungerla. E’ necessario molto studio”. Da questa prospettiva, il fotografo sente il suo lavoro con un altro ritmo, qualcosa che a lui appare come meditazione. Si tratta di una specie di gioco, un accumularsi di elementi: tranquillità, riflessi, onde, etc.

Götzfried di sicuro non è amico del ritocco digitale, del quale si è discusso molto in un recente vertice ad Amsterdam. “Ritocco molto poco. Non dico che sia una brutta cosa, ma preferisco ritrarre le cose tali e quali come sono. Per lo meno mi assicuro che il risultato finale non sembri falso”. Per questo, Götzfried preferisce tanto le vecchie fotocamere come la sua Leica, piuttosto che le moderne digitali. “Intendiamoci, per un fotografo di quotidiani sportivi è di sicuro utile, dovrà tirare cinquemila foto al giorno, io, invece, torno a casa con massimo venticinque. La fotocamera è solo uno strumento, l’importante è l’idea”.

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