Può un black out trasformare un concerto in qualcosa di speciale? Si, se sul palco ci sono le CocoRosie. Tornate a tre anni di distanza da “Grey Oceans” con il nuovo “Tales of a Grass Widow”, uscito il 27 di maggio per City Slang, le sorelle Casady continuano a dividere pubblico e critica tra quanti le vorrebbero vedere ricalcare le atmosfere lo-fi degli esordi, da cui con questo quinto album sembrano invece essersi definitivamente emancipate e chi, invece, non riesce a non apprezzarne lo spirito di ricerca e continua evoluzione.
E a giudicare dalla quantità di gente che ha riempito l’Alcatraz di Milano per la prima delle tre date italiane del duo statunitense, quella del 14 giugno, seguita da quelle di Roma e Soliera (Modena), questi ultimi sono ancora parecchi. La sperimentazione, dunque, paga e appaga, dal momento che l’accoglienza tributata alle CocoRosie dal pubblico di Milano è stata, come di consueto, calorosa (in tutti i sensi vista la temperatura dentro e fuori la venue).
Sorvoleremo sulla mise con cui si sono presentate sul palco Bianca “Coco” e Sierra “Rosie”, d’altro canto le bizzarrie del duo sono cosa nota, basti sapere che dopo il lampadario sfoggiato da Coco in vece di copricapo durante il bel live parigino a Le Trianon, questa volta la stessa ha voluto premiare la sobrietà piazzandosi in testa un ramo/antenna o qualcosa di simile, mentre Rosie optava per una vestizione a cipolla con buccia di luci natalizie e mutandone argentato.
Ma poco importa quando il live inizia sulle note di “Child Bride”, chiudiamo gli occhi e la magia della mescola unica del sound di CocoRosie, accompagnate sul palco dal beatboxer Tez, dal bassista Josh David Werner e dal tastierista giapponese Takuya Nakamura, ci trasporta su un altro pianeta. La prima parte del concerto prosegue con “End of Time”, “Harmless Monster”, “Tears for Animals”, realizzata in originale con la collaborazione con Antony Hegarty di Antony and the Johnsons, “After the Afterlife” e “Gravediggress”, tutte tratte da “Tales of a GrassWidow”.
Il live fin qui funziona, i pezzi suonano bene e Sierra e Bianca fanno il loro, ma manca quella complicità col pubblico capace di rendere unica una performance. Se è vero che nulla accade per caso, però, subito dopo “Ana Lama”, il black out dell’intero isolato innesca la scintilla che incendierà la serata. Nell’impasse generale (dal backstage sbuca pure una bimbetta avvolta in un boa arcobaleno e con tanto di trucco alla CocoRosie, un animaletto da palcoscenico, che si ascolta tutto il concerto direttamente on stage) Sierra si siede al piano e parte con una versione decisamente minimalista di“Happy Eyez”, Coco la segue a ruota cantando in un piccolo megafono, questo, impreziosito dalla tromba in sordina di Takuya, quanto basta per fare spettacolo a chi ha esordito a livello mondiale con un album come “La Maison de Mon Rêve” e il pubblico apprezza.
Tornata la corrente il b-side “God Has a Voice, She Speaks Through Me”, il solo beat box del fenomeno Tez e “Villain”, che dal vivo funziona decisamente meglio che su disco, mantengono alta la temperatura, smorzata dalla logorroica “Far Away”, ma solo temporaneamente, perché il momento di sfoderare qualche pezzo “vecchio” arriva in ogni concerto e CocoRosie lo lanciano con la strepitosa “Undertaker”, seguita da “Smokey Taboo” entrambe da “Grey Ocean” e da “Beautiful Boyz” uno dei brani più noti del duo, realizzato anche in featuring con il solito Antony Hegarty.
“Poison”, il singolo “We Are on Fire” e “Fairy Paradise” conducono assai piacevolmente verso “Teen Angel” e “R.I.P Burn Face”, le encore a chiusura di un viaggio lungo due ore, si dice, nella galassia CocoRosie e c’è chi non vede l’ora di ripartire.

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