Ralph Bakshi, classe 1938, è un regista, animatore e disegnatore statunitense di origine palestinese. È l’uomo che ha inventato i cartoons per adulti: il suo film d’esordio, Fritz the Cat (adattamento datato 1972 dell’omonimo fumetto di Robert Crumb), è la prima opera di animazione vietata ai minori di 18 anni; anche i due lungometraggi successivi, Heavy Traffic e Coonskin, vengono guarniti con il bollino della censura e confermano la sua fama di autore controverso, capace di mettere le sue splendide tavole al servizio di una satira velenosa. Il suo marchio di fabbrica è l’uso combinato di diverse tecniche filmiche all’interno della stessa opera: animazione classica, filmati di repertorio, CGI, acquerelli e un massiccio impiego del rotoscope.

Nella seconda metà degli anni Settanta gira altri due lungometraggi: Wizards e una delle prime riduzioni cinematografiche de Il Signore degli Anelli. Nel 1981 arriva nelle sale il suo sesto lavoro, quello di cui vi parlo in queste righe. È uno di quei film che vorresti rivedere insieme a tutti quelli che conosci, un po’ per condividere l’entusiasmo godendosi le reazioni altrui e un po’ per riempirsi di nuovo gli occhi, in cerca di nuovi dettagli.

americanpop002American Pop è tante cose, tutte raccontate sull’onda di un’ispirazione travolgente. È innanzitutto la storia di una famiglia nel succedersi di quattro generazioni: quattro uomini che si tramandano un’indole inquieta, un talento innato e una passione bruciante per la musica. Zalmie, l’emigrato russo che diventa cantante e poi impresario del cabaret nella New York del Proibizionismo; Benny, il pianista geniale e flemmatico finito a combattere una guerra assurda oltreoceano; Tony, il paroliere sempre in fuga verso ovest, incapace di sfuggire a sé stesso; e Pete, l’ultimo della discendenza, quello che troverà la strada verso la gloria.

American Pop è anche un compendio di storia del Novecento statunitense: l’uso insistito dell’ellissi ci trascina in una corsa vertiginosa su un binario lungo ottant’anni, dal Burlesque di inizio secolo alla rivoluzione del bebop, dalla tragica stagione dei figli dei fiori alla sporcizia del post punk. La mafia, la guerra, la contestazione, L’urlo di Allen Ginsberg, gli hobos sui treni per la California, gli spacciatori e le prostitute del Bronx: Bakshi mette insieme una storia fatta di mille volti della storia americana che abbiamo conosciuto in tante altre opere ma che pochi hanno saputo raccontare così bene, con sentimenti così vividi. Il suo sguardo sull’America è feroce e appassionato insieme: una critica spietata, ma anche un’elegia.

American Pop è soprattutto una goduria per i sensi, forte di un’animazione e di una regia sensazionali e di una delle migliori colonne sonore di sempre: bellissima e funzionale allo stesso tempo, perché la musica non si limita ad accompagnare le immagini ma è il vero motore degli eventi, il mezzo attraverso cui la cultura influenza il corso della storia e ne è a sua volta influenzata. C’è Gershwin, ci sono Take FiveAs Time Goes By Maple Leaf Rag; ci sono Hendrix e i DoorsSam Cooke Lou Reed: i giganti del Novecento americano, messi in fila a raccontare l’America. Di certo non è casuale la scelta di far scorrere i titoli di coda sulle note dei Lynyrd Skynyrd: difficile immaginare qualcosa di più genuinamente USA di Freebird.

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Guardarlo è come ritrovare un libro delle elementari e immergersi nelle sue pagine, ritrovare tutto quello che già sapevamo ma che non ricordavamo fosse così interessante, così vero. American Pop è un intreccio di storie private e allo stesso tempo una storia collettiva dove il singolo e il tempo in cui vive si confondono, diventano una cosa sola: la band per cui Tony compone i testi delle canzoni è un chiaro omaggio a Janis Joplin e ai Jefferson Airplane, e il primo brano che scrive per loro è Don’t Think Twice, It’s All Right di Bob Dylan.

C’è tanto altro, in questo film che dura poco più di un’ora e mezza ma che sembra un viaggio lungo decenni: una valanga di citazioni e riferimenti al cinema, alla letteratura, alla storia del costume e della società; i corpi e i volti disegnati da Bakshi, caricaturali e al tempo stesso terribilmente realistici, e i suoi esperimenti visivi che a più di trent’anni di distanza risultano ancora splendidi, potentissimi; soprattutto, c’è tanta della musica che ha plasmato il XX secolo, che magari non ricordate o non sapete di conoscere ma che vi appartiene, ce l’avete sottopelle da sempre. Nell’ultima parte della storia di Tony, quando Summertime vi spezzerà il cuore, saprete con certezza che è così.

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Nato nel 1984, vive a Sant'Antioco (Sardegna sud-occidentale). Bibliotecario, scrittore e redattore; nel 2017 ha vinto la VI edizione del premio letterario RAI "La Giara"; ha pubblicato i romanzi "Il Grande Erik" (Rai Eri, 2018) e "Le case del sonno" (Edizioni La Gru, 2019), più la raccolta di racconti "Storie dei padri" (2019, autopubblicazione) e il racconto breve "Il giardino" (Libero Marzetto Editore, 2021). Ama la fantascienza distopica, il garage rock, i fumetti.

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