Macron e compagnia bella dicano quello che vogliono sulla “nostra identità europea” da difendere: sono cosmopolita e non cedo alla trappola dello scontro di civiltà. Lo stesso discorso vale per Erdogan che specula sulla “difesa dell’Islam” contro l’occidente. La storia è diversa ed è di natura economico-politica e non religiosa e identitaria, nonostante il mondo post-2001 sia costruito su quella retorica divisiva.

Cominciamo a vendere meno armi e a spendere in settori strategici per il vero benessere dei cittadini. Rinunciamo agli F-35 e alle bombe B61-12 destinate alla base militare NATO di Ghedi e fermiamo il virus della guerra totale. Investiamo nei teatri, nella scuola, nella letteratura, nella filosofia e nella musica senza vergognarci della loro presunta improduttività per le logiche necrofile del capitale, ma rivendicandone il valore umano e la grande funzione sociale. Solo così possiamo salvarci da questo massacro guerrafondaio, affamante ed epidemico; ma soprattutto deprimente a causa delle sue dinamiche individualiste e annichilenti che caratterizzano sempre di più il nostro presente.

Non crediamo alle bugie: non esistiamo “noi” e “loro”, non ci sono “polentoni” e “terroni”, non esistono le “categorie”, “essenziali” e “non essenziali”, “unti” e “untori”, non c‘è uno scontro “naturale”. Siamo nati quasi tutti bon sauvages, come diceva Rousseau, è la civiltà che ci ha corrotto con l’homo homini lupus di Hobbes. È la società che ha convinto i nostri avi a morire contro il “nemico” austriaco che ci troviamo a ricordare ogni 4 novembre con una pietosa retorica che scambia le vittime per eroi, così come lo ha fatto nei regimi totalitari del Novecento e lo fa oggi nelle “missioni di pace” in Libia, in Iraq, in Afghanistan, in Siria, nel Caucaso. È la società del “caos sistemico” che ci vuole tutti spaventati e irregimentati nell’ideologia dell’odio prevaricatore, facendoci credere al fascino degli abusi di potere.

Non cediamo al ricatto della civiltà, torniamo alle origini del nostro Essere, guardiamo chi siamo veramente e cosa conta. Lasciamo perdere i programmi tv, l’informazione, l’emulazione di chi si fa vanto di annientare il nostro pianeta stupendo e perfetto per alimentare le logiche del potere che tutto ammanta e distrugge. Mettiamo piuttosto l’etica al centro del dibattito politico e intellettuale, non releghiamola a mero studio della filosofia antica, ai detti degli stoici e degli epicurei, al mesto ruolo di pratica desueta e inutile all’attuale convivenza civile nell’epoca delle tecnoscienze. Facciamo rivivere la filosofia di Rawls e le concezioni dei maestri della scuola di Francoforte, rileggiamo i grandi della letteratura internazionale al posto di chinarci ai programmi demenziali studiati per opprimere la nostra fantasia e infondere ansia e volgarità, rivendichiamo il valore della cultura istituzionale e non. Fermiamoci davanti alla catastrofe per riconferire lustro alla collettività, per non soccombere in solitudine.

Etica oggi significa ecologia, riduzione delle emissioni inquinanti e cambio dello stile di vita, ma anche redistribuzione delle risorse, mediante l’istituzione di un reddito di base, e del lavoro, attraverso la riduzione dell’orario e l’accesso ad una platea più ampia. Filosofia della natura e della condivisione sono le ultime possibilità che abbiamo: non cediamo alla paura, pur riconoscendo di essere sull’orlo dell’abisso.

Abbiamo bisogno urgente di un allineamento tra progresso tecnico-scientifico e progresso etico-ecologico. Altro che “fase 2” e “fase 3”, siamo fuori fase.

Se il potere è illogico allora ridiamo, suoniamo, cantiamo. Se il mondo è irrazionale cantiamogli una bella serenata, continuiamo a incontrarci e a divertirci, leggiamo romanzi e facciamo lunghe passeggiate in montagna, mostrando empatia e comprensione per gli altri camminatori e per noi stessi, perché siamo tutti bravissimi lottatori.

Applichiamo forme di resistenza di fronte ai continui attacchi esistenti, perché esistono e non dobbiamo negarli, ma senza cadere nella controproducente spirale ansiogena e divisiva. Non facciamoci irretire dai faziosi e semplicisti “divide et impera”.

Il bene è molto più grande del male, ma fa meno notizia. Facciamolo viaggiare privatamente, nelle nostre stanze, al lavoro, tra gli amici.

Siamo nati per condividere, non per competere.

Ogni tanto è bene ricordarlo.

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Venuto al mondo nell’anno della fine dei comunismi, sono sempre stato un curioso infaticabile e irreprensibile. Torinese per nascita, ho vissuto a Roma, a Bruxelles e in Lettonia. Al momento mi trovo in Argentina, dove lavoro all’università di Mendoza. Scrivo da quando ho sedici anni, non ne posso fare a meno. Per ora ho pubblicato diversi articoli, un breve saggio e un racconto, “Ovunque tu sia” è il mio primo romanzo.

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