Se il lavoratore si rifiuta di adempiere ai suoi doveri, il datore di lavoro può tenersi una parte del TFR: la sentenza.
Si può perdere il diritto alla Naspi, all’aumento, e persino finire in causa per essersi rifiutati di trasformare un contratto da part-time a full-time. Il dipendente, da sempre ricco di tutele per legge, ha anch’esso i suoi rischi in caso di controversie. Eppure il TFR è sempre sembrato un diritto inviolabile, qualunque sia il motivo del licenziamento. Ma l’ultima sentenza ha messo i puntini sulle i anche su questo aspetto, ricordandoci non solo che può essere pignorato in caso di debiti, ma anche che lo stesso datore di lavoro ha diritto a trattenerne una parte.

Si parla di metà stipendio decurtato dal fondo di fine trattamento e, sebbene questa situazione sia regolamentata da tempo, l’ultimo caso portato alla Corte di Cassazione l’ha riportata sotto i riflettori.
Sebbene possa sembrare una causa come tante, tocca un punto piuttosto diffuso, soprattutto nei casi di licenziamento con dispute tra le parti. Se prima i datori di lavoro chiudevano un occhio, questa sentenza potrebbe cambiare le regole del gioco per moltissimi rapporti di lavoro – e per gli importi finali del TFR.
Quando il TFR non è più intoccabile: cosa dice la sentenza
Succede più spesso di quanto si pensi: il rapporto di lavoro finisce male, magari con una lite, una fuga improvvisa o il rifiuto del dipendente di rispettare le regole del preavviso. E in questi casi, il datore non sempre lascia correre. Anzi, se il lavoratore si dimette senza dare il preavviso previsto dal contratto, o si rifiuta di adempiere a obblighi essenziali (come lavorare durante quel periodo), il datore ha il diritto di trattenere una parte del TFR a titolo di indennizzo.

A confermarlo è stata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1581 del 19 gennaio 2023. I giudici hanno ribadito che l’indennità sostitutiva del preavviso – cioè la somma che il datore avrebbe dovuto corrispondere per quel periodo se fosse stato lui a interrompere il contratto – può invece essere compensata nel caso contrario: quando è il dipendente a non rispettare il preavviso, è quest’ultimo a dover “pagare” quella cifra. E se il lavoratore non la versa direttamente, il datore può trattenerla dal TFR maturato.
Per calcolare basta prendere il numero di giorni di preavviso non lavorato e lo si moltiplica per la retribuzione lorda giornaliera. In pratica, se il preavviso previsto era di 15 giorni e lo stipendio lordo era di 1.800€, la trattenuta può arrivare a 900€. Tutto assolutamente legale.
Un dettaglio spesso ignorato, ma che – soprattutto nei casi di rottura burrascosa – può lasciare il lavoratore con un TFR molto più magro del previsto, senza possibilità di replica.