Con i benefici attuali, si può ottenere fino a 878€ al mese presentando la domanda: eppure c’è un errore che sta costando caro a moltissimi richiedenti.
Nel 2025, ottenere l’invalidità civile significa ricevere circa 336€ al mese. Una cifra che, nella teoria, può sembrare un aiuto concreto, ma che nella pratica – tra farmaci, visite mediche, spese quotidiane – raramente è sufficiente a coprire tutto ciò che serve.

Se le condizioni di salute peggiorano, è possibile segnalare un aggravamento all’INPS. Una procedura prevista dalla normativa, certo, ma che non comporta alcun aumento dell’importo mensile: anche in presenza di un quadro clinico più severo, l’assegno resta esattamente lo stesso.
Molti, a quel punto, si fermano. Pensano che non ci sia altro da chiedere. E invece una possibilità c’è: l’indennità di accompagnamento. È destinata a chi, a causa dell’invalidità, ha bisogno di assistenza costante anche per le azioni quotidiane più semplici. Si tratta di 542€ in più, che sommati all’assegno base superano gli 870€ al mese. Ma per ottenerli serve attenzione. Perché un solo errore nella domanda può compromettere tutto.
Una sola crocetta può far saltare tutto: il problema nascosto nella domanda di accompagnamento
Può sembrare assurdo, ma succede più spesso di quanto si pensi. Anche con un’invalidità civile riconosciuta al 100%, l’indennità di accompagnamento può essere negata. E non per mancanza di requisiti clinici, ma per una semplice – e spesso involontaria – imprecisione nella compilazione della domanda.

È sufficiente barrare una voce sbagliata, ad esempio indicare che la persona invalida è ancora in grado di lavarsi da sola o di compiere alcune azioni quotidiane, per vedersi respingere tutto. Il fatto è che, magari, quella persona è anche in sedia a rotelle e sì, riesce a lavarsi da sola, ma solo in maniera parziale. Magari è la stessa che riesce a cucinare, ma esclusivamente raggiungendo strumenti vicini come un microonde. Il che fa una bella differenza da una persona realmente autonoma.
Il problema è che questi moduli non sono semplici formalità e ogni risposta ha un peso e può influire in modo decisivo sull’esito finale. Chi non conosce a fondo la procedura, spesso si affida a un CAF o compila in autonomia, senza sapere che una sola voce può cambiare completamente l’esito. Non si tratta di mentire, ma di stare attenti a dichiarare le reali condizioni della persona invalida.
E quando l’accompagnamento viene respinto, non resta che presentare (sotto supporto di un patronato o un avvocato) ricorso entro 180 giorni dalla comunicazione dell’INPS – con tempi lunghi e, a volte, esiti incerti. Tuttavia, in questi casi è l’unico modo per poter avere accesso ai propri diritti.