Nel giorno in cui si celebrano i funerali dell’ex Presidente del Sudafrica Nelson Mandela, centinaia di capi di Stato si sono riuniti per rendere omaggio ad una grande figura del Novecento. Allo stadio di Johannesburg non è sfuggita la stretta di mano tra il Presidente statunitense Obama e Raul Castro.

In tanti la chiamano diplomazia dei funerali, i capi di Stato si incontrano per rendere omaggio alle esequie di un importante leader politico. L’URSS e gli Stati Uniti, ad esempio, colsero l’occasione per riaprire il dialogo tra le due superpotenze a metà degli anni 80 durante i funerali dei presidenti dell’URSS, Andropov e Černenko.

Dal 1963 gli Stati Uniti applicano una serie di restrizioni al commercio nei confronti di Cuba che nel corso degli anni si sono intensificate fino alla revoca, seppure parziale, del 2009 per volontà dell’amministrazione Obama. La stretta di mano tra i due leader è giunta a poche settimane dall’ennesima approvazione da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una risoluzione che sottolinea la necessità di porre fine all’embargo economico, commerciale e finanziario da parte degli Stati Uniti nei confronti di Cuba.

La risoluzione, accolta quasi all’unanimità con 188 voti a favore, 3 astensioni e i due voti contrari di Stati Uniti e Israele, è una tra le tante approvate negli ultimi anni su questo tema e con le stesse maggioranze. Secondo il Ministro degli esteri cubano Bruno Rodríguez Parrilla, la politica statunitense nei confronti del suo paese resta ancorata alle logiche della Guerra Fredda.

In risposta, gli Stati Uniti hanno affermato di avere sostenuto con forza il desiderio del popolo cubano di realizzare il loro futuro e secondo gli americani tale aspirazione sarebbe ostruita dal governo cubano. Washington avrebbe infatti posto la massima priorità al rafforzamento dei collegamenti tra cittadini americani e cubani. Questo dato sembrerebbe confermato dal fatto che, si dall’inizio dell’amministrazione Obama, centinaia di migliaia di americani hanno inviato rimesse e hanno viaggiato verso Cuba. Il governo cubano, però, ha cercato di identificare un “capro espiatorio esterno” per i suoi problemi economici, da attribuire probabilmente alle proprie politiche economiche dell’ultimo mezzo secolo.

La stretta di mano di oggi risulta essere un’ulteriore conferma di una nuova rotta nella politica estera statunitense. Dopo l’accordo di Ginevra sul nucleare iraniano del 24 novembre 2013, osteggiato da Israele ed Emirati Arabi Uniti, arriva un gesto che contraddice in un certo senso ciò che era stato sostenuto dagli Stati Uniti in Assemblea Generale l’11 ottobre scorso. Questi stanno lentamente abbandonando una regione, quella medio orientale, particolarmente complessa, alla luce anche dell’autosufficienza petrolifera che Washington conta di raggiungere entro il 2020.

Negli ultimi anni, in particolare con l’amministrazione Obama, l’American Pivot, è stato spostato nel Pacifico ed è qui che si giocherà la più importante sfida degli anni a venire. Il disimpegno in Medio Oriente e anche la recente operazione di addestramento nelle acque vicine alle Senkaku, in risposta alla creazione di uno spazio aereo di difesa cinese proprio in quella zona, è la dimostrazione che Washington non vuole arretrare le sue posizioni nel Pacifico.

In questa prospettiva, riconsiderare l’America Latina sempre definita il “cortile di casa” dagli Stati Uniti, risulta determinante in prospettiva futura. Cuba, dal canto suo, intrattiene oggi le più importanti relazioni commerciali con il Venezuela e con la Cina. Con quest’ultima dal 2008 è in vigore un accordo tra la SINOPEC e la CUPET, entrambe industrie petrolifere di Stato, per avviare ricerche petrolifere sul territorio dell’isola.

Gli Stati Uniti lo sanno, dietro ad una stretta di mano si possono nascondere tante opportunità.

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO