Fino al 23 febbraio avete l´opportunità unica di visitare la mostra Robert Capa in Italia 1943-1944 al Museo Alinari di Firenze. Le 78 foto in bianco e nero raccontano ai visitatori i mesi di guerra nella penisola italiana quando Endre Ernő Friedmann (questo é il vero nome del fotografo ungherese) accompagnò le truppe americane dallo sbarco in Sicilia fino alla conquista di Roma.
Capa è considerato il pioniere della fotografia di guerra. Ottiene fama mondiale grazie al suo reportage sulla guerra civile spagnola. É lí che viene scattata la più famosa immagine nella storia della fotografia, Morte di un miliziano lealista, immortalata il 5 settembre del 1936 (anche questo pezzo unico é visibile all´interno dell´Alinari, nell’esposizione permanente). Ed é anche lí, nel paese travagliato dal conflitto fratricida, che perde sua moglie Gerda Taro, anche lei fotografa. Ho sempre pensato che i giornalisti di guerra, che hanno scelto questa professione per vocazione, possano avere accanto soltanto una persona che condivida la loro passione, che accetti il rischio onnipresente della morte per il dovere più alto di documentare la cruda realtà, il dolore, il mondo di conflitto dominato da proprie regole. Dopo la morte della sua donna, Capa ha dedicato la sua intensa vita a fotografare le guerre in vari continenti. Ha vissuto “una vita in cui non potevano trovare posto figli, una vita fatta di solitudine, una vita da apolide, la cui fine era forse già stata scritta dal destino”. Tramite la lente dell´obiettivo ha osservato lo sbarco in Normandia, la seconda guerra sino-giapponese e la prima guerra arabo-israeliana. Il 25 maggio 1954, nel mezzo della guerra d’Indocina, calpestó la mina fatale che gli sarebbe costata la vita.

capa-copertinaDal luglio ´43 al febbraio ´44 Capa fu in Italia. La mostra si apre con l´arrivo degli alleati in Sicilia, che in meno di tre settimane riescono a conquistare Palermo. “La strada era francheggiata da decine di migliaia di siciliani in delirio che agitavano fazzoletti bianchi e bandiere americane fatte in casa con poche stelle e troppe strisce. Avevano tutti un cugino a «Brook-a-leen»”. L´avanzata si complica nelle montagne tra Napoli e Roma. Le piogge, il fango e l´artiglieria tedesca ostacolano gli spostamenti. La vita nelle trincee, i paesini distrutti, la gente ferita negli ospedali provvisori allestiti in chiese. Tutto questo si riflette nelle foto di Capa. “I giornalisti, volenti o meno, non erano autorizzati a raccontare tutta la verità sulla campagna bellica. D´altro conto, questa era l´occasione in cui le immagini avrebbero potuto dire molto di piú delle parole”. Anche se é spesso difficile evitare che gli scatti siano vuoti e tristi come la guerra stessa, Capa, nel suo lavoro, ci ha lasciato una testimonianza valida dei momenti cruciali del Novecento.

Robert Capa aveva tutte le doti del fotoreporter di guerra, non ci sono dubbi. Le caratteristiche giornalistiche necessarie per fare questo tipo di lavoro, come tenacia e audacia, si uniscono a quelle artistiche, sensibilità e senso per la composizione. “Se le tue fotografie non sono all´altezza, non eri abbastanza vicino”, era il suo credo professionale. I giornalisti di guerra devono saper rischiare. O meglio, devono saper identificare la situazione per cui merita correre il rischio. “Questo mestiere é come puntare alle corse dei cavalli, dove non sai mai se vinci o se perdi”, dice Mimmo Cándito, famoso corrispondente di guerra, citando Capa. “La sola differenza é che, nelle corse, magari c´é qualcuno che bara, mentre in guerra il gioco é pulito. O vinci, o muori”. Capa aveva quarant´anni quando ha perso la vita sul campo di battaglia. Ne è valsa la pena? Giudicate voi.

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