Se qualcuno è convinto che stiamo vivendo un’epoca di instabilità e insicurezza, in cui le minacce globali e locali siano fuori controllo e in qualche modo aprano scenari nuovi e imprevedibili, come il terrorismo, farebbe meglio, forse, a darsi meno arie.

Anno 63 a.C., Gneo Pompeo Magno invade la Giudea e con essa la città santa di Gerusalemme.

Sotto Erode la Giudea fu stato indipendente e non pagava i tributi a Roma, poiché si trattava di un governo alleato. Più tardi, sotto Ottaviano Augusto, nel 6 d.C., essa ebbe un’amministrazione particolare: fu annessa alla provincia imperiale di Siria e l’autorità suprema, di conseguenza, venne esercitata dal suo governatore. Questo perché si trattava di un’area non facile da governare. I romani nella loro storia hanno sempre usato raffinate strategie per cercare l’equilibrio tra i poteri locali ed il proprio. E da queste parti la cosa non fu diversa. Cercarono da sempre l’amicizia degli ebrei e rispettarono le esigenze della Torah. Gli ebrei poterono mantenere la loro amministrazione e i loro organi statali, il più alto dei quali era il sinedrio, con a capo il sommo sacerdote.

Ben-Hur-6Le legioni schierate nell’area erano la Legio X Fretensis, nel 41 a.C. e successivamente la Legio VI Ferrata dal 47 a.C. (nella foto punto 24 e punto 21). Il simbolo della prima è un verro, dell’altra un toro. Scrive Marguerite Yourcenar nel romanzo Memorie di Adriano:

“La Decima Legione di Spedizione ha per emblema un cinghiale; l’insegna fu affissa alle porte della città, com’è d’uso, e la plebaglia, poco avvezza ai simulacri dipinti o scolpiti di cui, da secoli, la tien priva una superstizione poco propizia ai progressi delle arti, prese quell’immagine per quella d’un porco e ravvisò in questo fatto insignificante un insulto ai costumi di Israele.”

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In realtà la motivazione non fu davvero questa: la legge della Torah proibiva le immagini e i soldati romani non introdussero in Gerusalemme i loro vessilli per questo motivo. Anche le monete furono un problema per la stessa ragione e quelle coniate in Giudea non portarono l’effigie dell’imperatore, ma solo il suo nome. Gli ebrei inoltre furono esonerati dal prestare il culto all’imperatore sotto qualsiasi forma, cosa invece in uso in tutte le altre province orientali.

Le rivolte però non tardarono a venire, per diversi motivi, primo fra tutti la riscossione dei tributi. Nacque così il problema dello “zelo”. Un ebreo di zelo deve rispettare la legge, e quindi per poterlo fare davvero non deve sottostare ai romani. Dunque da qui la lotta armata. “Zelo” è una parola molto importante, va tenuta a mente, è in riferimento al buon ebreo, in alcuni casi al vero ebreo. Scrive Giuseppe Flavio:

“In Gerusalemme nacque una nuova forma di banditismo, quella dei così detti sicari, che commettevano assassini in pieno giorno nel mezzo della città. Era specialmente in occasione delle feste che essi si mescolavano alla folla, nascondevano sotto le vesti dei piccoli pugnali e con questo colpivano i loro avversari. Poi, quando questi cadevano, gli assassini si univano a coloro che esprimevano il loro orrore e recitavano così bene da essere creduti e quindi non riconoscibili.”

Terrorismo nei luoghi affollati, di fatto. Questa forma di lotta era ad opera di rigidi osservanti dei principi religiosi. Il loro nome era “zeloti“, da “zelo”, appunto. La loro forma di lotta degenera ben presto, e comincia a prendere di mira gli stessi ebrei, non solo i romani, ebrei non considerati veri osservanti, o pacifisti, troppo morbidi con Roma, con gli invasori, i miscredenti.  In definitiva, questi gruppi si diedero al terrorismo e alle rivolte in tutta l’area, e all’imperialismo romano reagirono con la lotta armata in nome dell’osservanza fedele delle leggi di Dio. Le posizioni erano due: coloro che accettarono l’invasione per diversi motivi come i sadducei e buona parte dei farisei, e il partito appunto interventista, tra i quali c’erano proprio gli zeloti. Il precipitare dell’ordine pubblico portò al caos completo nel 66, anno della grande rivolta. Tutto questo culminò nell’assedio di Gerusalemme nel 70 da parte delle truppe guidate da Tito Flavio Vespasiano, il futuro imperatore Tito. La città e il suo tempio furono completamente distrutti. Ancora oggi gli ebrei ricordano l’evento con una giornata di lutto, il Tisha BeAv, mentre a Roma un arco, l’arco di Tito, celebra tutt’oggi il trionfo del generale romano.

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Quello che gli ebrei considerano uno dei maggiori digiuni in ricordo dell’evento cade il giorno 9 di Av. Questa data in realtà commemora la distruzione del primo Tempio e del secondo Tempio. È un fatto singolare, poiché i due templi furono distrutti entrambi nello stesso giorno, a distanza di 656 anni, il primo da Nabucodonosor II.

Distruzione-del-Tempio-di-GerusalemmeUn’ultima cosa. C’è un altro modo che i romani usarono per celebrare la vittoria: una nuova emissione di monete, nell’anno 71. Coniate a Roma, come indica la sigla S.C. (“col consenso del Senato”), non solo riportano delle immagini, ma sul rovescio hanno una donna (la Giudea), seduta sotto una palma, guardata da un soldato romano, e sopra una scritta: Judaea Capta, “La Giudea è stata conquistata”. Il tutto con il chiaro intento di mortificare gli sconfitti.

Monete celebrative

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