Il Paisley, ci informa Wikipedia, è “un disegno ottenuto utilizzando il boteh o buta, un motivo vegetale a forma di goccia di origine persiana. Tali disegni sono diventati molto popolari in Occidente nel XVIII e XIX secolo […]. Dopo un periodo di iato, è tornato popolare negli anni ’60 per la similitudine tra i suoi motivi e i pattern psichedelici tipici dell’LSD”. Sul nascere degli anni Ottanta, Los Angeles è la culla di una variegata scena musicale che prende il nome da questo motivo ornamentale: il Paisley Underground.
Più che di un genere musicale si tratta di un insieme di formazioni, più o meno tutte imparentate tra loro, che animano il panorama locale avendo come comune denominatore un background, una certa idea di musica (un po’ come accadrà a Seattle un decennio più tardi, ma con un imprevisto successo su scala mondiale): in particolare, la passione per il rock psichedelico dei sixties. Mentre nel mondo si affermano l’hard rock da stadio, il pop sintetico e la new wave con le sue mille facce, una piccola comunità di giovani musicisti cammina a ritroso sulle piste dei suoi padri nobili: Velvet Underground, Doors, Quicksilver Messenger Service, Byrds.
La riscoperta dei Sessanta non è una riproposizione manierista di suoni già sentiti: l’intera formula è corretta secondo i dettami lasciati dalla marea del punk, che proprio in quegli anni si ritrae e lascia dietro di sé gli oggetti più disparati: nella risacca del post-punk puoi trovare di tutto, i Devo e i Joy Division, gli Echo & the Bunnymen e i Bauhaus. E ci sono anche le band del Paisley Underground, che dal post-punk assimilano il gusto per l’essenzialità. Da qui la scelta di comporre sulla base di un “formato canzone” piuttosto canonico, senza minutaggi eccessivi. Rispetto alla psichedelia dei padri, spesso fatta di brani lunghi e barocchi, questa è asciutta e minimale.
I Dream Syndicate sono la band più rappresentativa del movimento, capitanati da Steve Wynn, chitarrista appassionato e vocalist devoto al culto di Lou Reed. Danno alle stampe un EP e tre dischi in otto anni, sino allo scioglimento nel 1989. Il loro esordio, The Days Of Wine And Roses, è un piccolo gioiello dimenticato: in poco più di quaranta minuti, Wynn e soci raggiungono un equilibrio perfetto tra orecchiabilità, severa attitudine punk e un diluvio di chitarre flower power. Seguiranno altri tre dischi e alcuni EP, sino allo scioglimento nel 1989.
La bassista Kendra Smith abbandona il gruppo dopo la pubblicazione di The Days Of Wine And Roses per partecipare ad un nuovo progetto che durerà lo spazio di un album e di una manciata di singoli, e dalle cui ceneri nascerà una delle band più stralunate e improbabili degli anni Novanta.
Le band che in quegli anni vestono paisley sono composte da amici d’infanzia e compagni di università, e i componenti transitano da un gruppo all’altro, come in una specie di casa comune dove tutti si fermano a dormire da tutti. È proprio lo spirito comunitario il punto di forza di questi gruppi, che nei loro dischi riescono a trasmettere il loro piacere di fare musica insieme. Come detto, non si può parlare di genere musicale, perché ogni band attinge dal passato e lo rilegge secondo il proprio gusto, spesso con risultati molto differenti: tra le esperienze più significative di quegli anni i Thin White Rope, i Long Ryders, i Rain Parade, i Three O’Clock e i Salvation Army. Ci sono anche le Bangles, destinate a diventare popstar internazionali a metà del decennio con singoli appiccicosi come Walk Like An Egyptian.
Molte di queste band nascono con una marcata impronta paisley per poi passare a sonorità più radiofoniche, forse per cercare un riscontro commerciale, forse per un precoce calo di ispirazione; in ogni caso durano una manciata di anni, e quasi nessuna arriva ai Novanta ancora in attività.
Dovendo indicare un LP come manifesto del movimento, la scelta cade inevitabilmente su Rainy Day, progetto consistente di un unico album pubblicato nel 1984. Il disco, composto interamente di cover, è realizzato da quello che potremmo definire un all-star team della scena paisley: alla sua realizzazione partecipano Will Glenn, Matt Piucci e i fratelli David e Steven Roback (i Rain Parade quasi al completo); Michael Quercio dei Three O’Clock; Vicky Peterson e Susanna Hoffs delle Bangles; i Dream Syndicate in blocco, a eccezione di Wynn. Oltre a testimoniare lo spirito comunitario che unisce le band, Rainy Day ribadisce quali siano le radici musicali da cui traggono linfa. Basta uno sguardo agli artisti scelti per le cover: Hendrix, Dylan, The Who, Buffalo Springfield e gli immancabili Velvet Underground.
La neo-psichedelia losangelina lascia un’eredità consistente ai musicisti americani degli anni successivi (ad esempio, Kurt Cobain citerà i Dream Syndicate tra le sue influenze musicali), ma ottiene vendite scarse e la vena creativa si esaurisce presto: a fine del decennio del paisley non resta quasi più nulla. C’è tempo per un ultimo colpo di coda.
Il già citato David Roback, chitarrista dei Rain Parade, abbandona il gruppo dopo l’uscita del loro primo album Emergency Third Rail Power Trip e fonda un nuovo gruppo insieme a Kendra Smith. I due reclutano Keith Mitchell alla batteria e si battezzano con il nome Opal. Nel 1987, dopo un pugno di EP passati inosservati, pubblicano il loro primo e unico album: Happy Nightmare Baby. Generalmente indicato come ultimo atto del movimento paisley, è un disco prezioso che a oltre trent’anni di distanza suona sorprendentemente fresco e vitale. La vena lisergica si riversa in nove tracce inquiete, oscure, ripiegate su sé stesse e al tempo stesso inspiegabilmente allegre, in cui le chitarre nervose e le tastiere vintage dipingono un’atmosfera ipnotica. Un ottimo esordio che non avrà alcun seguito.
Dopo l’uscita dell’album gli Opal partono in tour (apriranno diversi concerti dei Jesus & Mary Chain), e c’è già il sentore che sarà l’atto finale: Kendra Smith ha perso interesse per il progetto e medita di lasciare Los Angeles. Poco tempo prima hanno ricevuto una demo di un duo femminile esordiente, le Going Home, e Roback si è offerto di fare loro da produttore. Quando si trova a dover fare a meno della Smith, che abbandona il tour in anticipo, chiama subito una delle due Going Home a sostituirla.
Il tour prosegue con la nuova arrivata, che presto si rivelerà molto più di un rimpiazzo: oltre a scrivere i testi per nuove canzoni, Hope Sandoval è una cantante dalla voce ipnotica, estremamente timida sul palco e dotata di una bellezza diafana, mai appariscente. Queste caratteristiche la rendono l’interprete perfetta per la nuova creatura di Dave Roback: i Mazzy Star. Le chitarre acide si smorzano in una psichedelia morbida, a metà strada tra pop e folk, che si farà strada nei rumorosi anni Novanta con suoni languidi e onirici: tre album dal ’90 al ’99, lo scioglimento e poi il ritorno nel 2011, con un nuovo disco.
Dopo una lunga carriera solista e decine di collaborazioni, nel 2012 ha riformato i Dream Syndicate. Scrive John L. Micek su Pop Matters: “Se chiedete a Steve Wynn quale sia uno dei suoi ricordi migliori dei giorni in cui suonava nella scena dei club di Los Angeles degli anni Ottanta, potreste restare stupiti dalla sua risposta: […] una gita a Catalina Island. […] L’anno è il 1982. È un glorioso fine settimana del Quattro Luglio, e ci sono tutti i componenti di Dream Syndicate, Rain Parade, Salvation Army e Bangles (prima delle permanenti e di Walk Like An Egyptian). È un giorno di sole, surf, barbecue e cameratismo. «Era il momento decisivo» ha ricordato Wynn. «Eravamo tutti felici assieme. Era il momento di ciascuno di noi.»”