Uscita per la solita Matador Records con “Sun” lo scorso settembre, a sei anni di distanza dal suo ultimo album di inediti “The Greatest”, Chan Marshall, in arte Cat Power, si sarebbe dovuta esibire in Italia lo scorso dicembre con due date a Milano e Bologna. Il tour europeo, di cui erano parte, fu però cancellato per motivi che l’artista rese noti in un’accorata lettera ai fan: «Devo posticipare il tour europeo fino all’anno prossimo, così da poter tornare a casa e riposarmi. Mi dispiace molto per i miei fan, in tutti i momenti della mia carriera sono stati sempre il primo pensiero, ma ora devo pensare alla mia salute e so che loro capiranno».
Risolti i problemi legati all’angiodema, che dal primo attacco, verificatosi a pochi giorni dalla pubblicazione dell’ultimo lavoro, ha costretto Cat a qualcosa come otto ricoveri, eccola di ritorno nel Vecchio Continente e nel nostro Paese per le due attesissime date di Milano e Roma, entrambe aperte dall’australiano Scott Matthew.
Li abbiamo visti domenica al Carroponte di Milano, dove il folk singer del Queensland – fresco della pubblicazione del suo quarto lavoro, “Unlearned” (28 giugno, Glitterhouse Racords), una raccolta di cover di brani particolarmente cari a Matthew, reinterpretati in chiave del tutto personale dal talentuoso cantautore -, ha dato vita ad uno show breve ma estremamente intenso, che ha visto i suoi momenti migliori nella melliflua versione di “To Love Somebody”, con cui ha aperto il set, nella sorprendente “Anarchy in the UK” e nella versione voce e ukulele di “I Wanna Dance With Somebody”.
Dopo una mezzora buona di attesa – nonostante il palco fosse sostanzialmente già pronto vista la scarna strumentazione utilizzata da Matthew (voce, chitarra e ukulele) – Cat, capello biondo cortissimo, giunta sul palco  assieme alla band (batteria, basso e percussioni, chitarra e tastiere), armata di sigaretta, tisana, bastoncino d’incenso e un non meglio identificato drink, riprende esattamente da dove era rimasta, ammaliando letteralmente la platea con “The Greatest”.
L’immediato passaggio al materiale del nuovo album, che costituirà l’ossatura del concerto (difficile, d’altro canto, integrare le ricche stratificazioni sonore di “Sun” con il sound minimalista di grandissima parte del repertorio di Cat), con “Cherokee”, “Silent Machine”, “Manhattan” e “Human Being” crea un’atmosfera straniante. I pezzi di “Sun” dal vivo funzionano, ma la vocalità per certi versi inedita utilizzata da Cat nella sua ultima fatica, maggiormente vincolata da una struttura del pezzo più “pop” e da ritmiche più stringenti, almeno inizialmente lascia dubbiosi i presenti.
Diverso il discorso per la bonus track “Bully”, un brano distesissimo nel quale Chan può utilizzare la voce nel modo a lei più congeniale e “Angelitos Negros”, cover di un brano di Andrès Eloy Blanco e Manuel Alvarez Maciste, il momento più alto del concerto, con Cat che, in un suggestivo controluce, libera tutta la voce: potenza, controllo, ricchezza timbrica, sentimento, c’è tutto. Terminato l’incanto il live prosegue con “3, 6, 9” e “Nothing But Time”, brano scritto per la figlia dell’ex fidanzato, entrambi tratti da “Sun”. Altro climax della serata arriva su “Metal Heart”, dall’album della consacrazione, quel “Moon Pix” uscito nell’ormai lontano ’98.
Prima della fine, c’è ancora spazio per “I Found a Reason” dei Velvet Underground, per la trascinante “Peace and Love”, uno dei brani di “Sun” che meglio si adattano alla dimensione live, così come “Ruin”, con cui termina senza possibilità di replica l’ora e un quarto di un concerto, sicuramente breve, ma altrettanto succoso, al termine del quale una Cat Power divertita si ferma a lungo dopo l’uscita della band a lanciare al pubblico delle prime file fiori, adesivi, scaletta e quant’altro le capiti in mano. Fenice.

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